Chiara Ingrao
MIGRANTE PER SEMPRE
La storia di Lina, da bambina a donna, dall’Italia degli emigranti a quella degli immigrati

Dall’Italia degli emigranti a quella degli immigrati, cinquant’anni nella vita di Lina, ispirata a una storia vera: bambina in Sicilia, ragazza in Germania, donna a Roma. Un paese di padri lontani e di preti padroni, di pistacchi e di mandorle; un papà che varca i confini da clandestino, una madre assente e inafferrabile che condiziona ogni scelta. La nonna bracciante è mamma e maestra, ma non è lei che può decidere chi parte e chi resta. Partire è inverno tedesco, è la fabbrica: è suoni incomprensibili sputati in faccia, sorelle perdute e amicizie turche, compaesani soffocanti. Manca l’aria, i sogni s’infrangono e le parole vecchie non bastano più. Per Lina si apre una stagione di nuove esperienze, e la sfida di un amore forse impossibile.

Riesce a tornare, finalmente: ma dove? Affetti e fatiche, solitudini e alleanze impreviste, in un mondo profondamente cambiato ma con la stessa ostinata voglia di trovare la propria strada, fra radici strappate e sprazzi di futuro. Chiara Ingrao, scrittrice e animatrice culturale nelle scuole, ha lavorato come sindacalista, interprete, parlamentare, programmista radio, consulente su diritti delle donne e diritti umani. È impegnata da anni nel femminismo, nel pacifismo, nel movimento anti-razzista. Ha scritto due romanzi (Il resto è silenzio e Dita di dama), due libri per bambini/e (Habiba la Magica e Mal di paura), articoli e saggi (alcuni raccolti in Oltre il ponte – Pensieri di una femminista di frontiera). In Soltanto una vita ha raccontato le esperienze e pubblicato gli scritti di sua madre, Laura Lombardo Radice; in Salaam Shalom il suo percorso pacifista in Medio Oriente e altrove. È sposata con Paolo Franco e ha due figlie, due figliocci e tre nipoti.

www.chiaraingrao.it

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Stefano Zurlo
QUATTRO COLPI PER TOGLIATTI

Antonio Pallante e l’attentato che sconvolse l’Italia
«Tremavo, tremavo tutto. Credo che anche la mano andasse per conto suo. Poi, finalmente, li vidi uscire. Prima Nilde Iotti, dietro lui. Scese i gradini, arrivò a tre, quattro metri di distanza da me. Cominciai a sparare: uno, due, tre colpi. Continuai a fare fuoco mentre cadeva per terra. Lei si chinò su di lui gridando: “Hanno ucciso Togliatti”…»

Forse non tutti sanno che l’Italia è stata sull’orlo della guerra civile. Era il 14 luglio del 1948, e il Paese si avviava faticosamente a uscire dalle macerie del conflitto mondiale, quando un giovane di 25 anni cerca di uccidere Palmiro Togliatti, capo del Partito comunista. Antonio Pallante, l’autore dell’attentato, racconta per la prima volta la sua storia: dai cinque anni in seminario a quel colpo di pistola che nel ’43 interruppe le linee telefoniche fra Roma e Tripoli, fra il Duce e la Libia, e lo mandò quasi sotto processo, dalla carriera da giornalista per «L’Uomo Qualunque» agli scontri violenti con i militanti comunisti siciliani mentre nell’isola sbarcavano gli Alleati. Fino a quel giorno di luglio, quando i colpi della Smith & Wesson comprata al mercato nero di Catania feriscono il Migliore, e per lui si spalancano le porte del carcere. E poi il processo, gli anni della detenzione, la libertà e la vecchiaia: una pagina di storia che per magia torna, o potrebbe tornare attualità. Cronaca. Dà le vertigini, come un meteorite precipitato dal cielo.

Stefano Zurlo (Milano, 1963) è inviato de «il Giornale». Ha seguito l’inchiesta Mani pulite e molte altre, unitamente a processi di cronaca nera, da Cogne a Garlasco, e insegnato giornalismo alla Link University di Roma. Ha pubblicato Inchiesta sulla devozione popolare, con la quale ha vinto ex aequo il premio Corrado Alvaro (2003) e L’ardimento. Racconto della vita di don Carlo Gnocchi (2006); nel 2005 L’uomo sbagliato, da cui è stata tratta l’omonima fiction con Beppe Fiorello, nel 2008 La strega della Tv: Wanna Marchi: ascesa e caduta di un mito, La legge siamo noi. La casta della giustizia italiana (2009), L’inferno tra le mani. La mia storia nelle Bestie di Satana (con Mario Maccione, 2011) e Prepotenti e impuniti. Perché la malagiustizia permette sempre di farla franca (2012).

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Alberto Toscano
GINO BARTALI

Una bici contro il fascismo
Prefazione di Gianni Mura
Postfazione di Marek Halter
«Questo libro e la storia, quella piccola del ciclismo di fronte a quella del mondo, ci ricordano una cosa: che di fronte a profonde ingiustizie, diritti e libertà negati, atrocità come quelle attuate dal nazifascismo, ribellarsi è giusto. E Bartali lo sapeva, molto prima che lo scrivesse Sartre.»
Gianni Mura
«Bisogna leggere il testo di Alberto Toscano. Vi prende come un’avventura e restituisce al tempo stesso una pagina mancante al libro sempre attuale e appassionante della vita.»
Marek Halter

Alberto Toscano analizza la figura del leggendario ciclista Gino Bartali, vincitore di tre Giri d’Italia e due Tour de France, a partire da tutti gli aspetti del suo essere: l’uomo, lo sportivo, il credente, il marito fedele «di due mogli» (la sua bicicletta da corsa e quella in carne e ossa, Adriana), l’antifascista, l’anima controversa e schiva lacerata dalla morte prematura del fratello Giulio. Un uomo giusto, che preferiva inimicarsi il potere piuttosto che concludere una gara col saluto romano. La sua religiosità ha giocato un ruolo importante nell’avversione verso le leggi razziali, nel rifiuto dei simboli della dittatura, oltre che nello straordinario dinamismo della rete clandestina nata nel 1943 per nascondere e salvare moltissimi ebrei. Per questo motivo oggi leggiamo il suo nome sul Muro dei Giusti al Memoriale di Yad Vashem a Gerusalemme. «Ginettaccio» non amava parlare dei suoi meriti extra sportivi e tantomeno dei suoi «chilometri per la vita», percorsi fra la Toscana e l’Umbria per salvare gli ebrei perseguitati, procurando loro i documenti falsi, che nascondeva nell’intelaiatura metallica e nella sella della sua bicicletta. Non lo considerava un gesto fuori dal comune, ma la reazione che ogni persona dovrebbe avere di fronte alla vita minacciata degli altri. Un esempio di umanità per ricordarci la nostra. Un esempio importante soprattutto nei momenti difficili della nostra storia passata, presente e futura.

Alberto Toscano (Novara, 1948) è giornalista, saggista e politologo. È stato ricercatore dell’ISPI di Milano e redattore del settimanale «Relazioni Internazionali». A Parigi, dove vive dal 1986 e dove collabora con i principali gruppi radiotelevisivi, i media lo hanno definito «il più francese dei giornalisti italiani». Ex presidente dell’Associazione stampa estera in Francia e attuale presidente del Club de la presse européenne di Parigi, è membro dell’Ufr (Unità di formazione e ricerca) di italiano della Sorbona. È cavaliere dell’Ordine del merito sia della Repubblica francese sia della Repubblica italiana.

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