Un’inedita lettura storica di un incontro «folle» A poca distanza dall’ottavo centenario dell’arrivo dei frati minori in Terra Santa, ricorre nel 2019 un altro importante anniversario per l’Ordine francescano: gli otto secoli dall’incontro tra lo stesso Francesco d’Assisi e il sultano al-Malik al-Kamil, avvenuto a Damietta in Egitto. Fra Giuseppe Buffon, francescano e storico della Chiesa, affronta questo tema nel suo Francesco l’ospite folle. Il Povero di Assisi e il Sultano. Damietta 1219, edito da Edizioni Terra Santa. Spiega l’autore nella sua introduzione: «Che cosa sia realmente accaduto nella tenda di al-Malik è difficile da stabilire. Le fonti a nostra disposizione non ci permettono di rispondere adeguatamente a un tale quesito. Non immediatamente, almeno, ma solo alla fine di un percorso e soltanto mediante congetture. Nel frattempo preferiamo orientare l’analisi sul significato attribuito all’evento dai testimoni diretti o indiretti (…), cogliere l’effetto sorpresa che l’evento suscita nel narratore, (…) l’originalità dell’evento stesso. Se dunque lasciamo in sospeso la domanda fondamentale, ultima, riguardo al “che cosa”, orientiamo però la ricerca con altri più immediati interrogativi: come si attesta l’originalità dell’incontro di Francesco con al-Malik e in cosa consiste tale originalità? Quale significato assume questo avvenimento per il contesto politico, sociale, ecclesiale coevo e quale per la vita di Francesco? Quale anomalia viene registrata, anche inconsapevolmente, dai narratori, facendo breccia nel conformismo normalizzatore?»

L’incontro fra Francesco e il sultano rompe ogni schema, e inquieta. I primi a essere inquieti furono da subito i suoi contemporanei, a cominciare dalla Curia romana, in quel momento rappresentata nei confronti dell’Ordine dal cardinale Ugolino di Ostia che reputava questo viaggio inutile. Vittime dell’inquietudine furono i predicatori di Curia, retori di fama mondiale, perché ritenevano uno «spreco» una predicazione rivolta ai «barbari». Inquietava il desiderio di Francesco di oltrepassare, disarmato, le linee crociate per chiedere ospitalità ad al-Malik. Inquieti erano anche i crociati, a cominciare dal legato pontificio alla quinta crociata, il cardinale Pelagio d’Albano, e, questa volta per ammirazione, Giacomo da Vitry, vescovo di Acri e predicatore convinto. Lo furono anche Bonaventura da Bagnoregio, che parla nei suoi scritti di una fiamma non sopita, e più tardi gli illuministi, che vedevano in questo un atto al di là della ragione, e l’elenco potrebbe continuare. Francesco non ottiene la conversione del capo musulmano, né la corona del martirio. C’è forse una perfezione differente dal martirio? Conclude l’autore nella sua introduzione: «È l’antropologia dell’ospite, che si dispone a lasciarsi accogliere, a lasciarsi trasformare dall’accoglienza altrui, che intendiamo verificare nell’esperienza di Francesco a Damietta. Ed è già Bonaventura, in effetti, a presentare l’intentio di Francesco come desiderio di essere trasformato dal fuoco dell’amore: Francesco, che non si reca in visita al Sultano per cambiare l’altro, ma per cambiare se stesso. La finalità dell’incontro è la propria trasformazione. È questa, dunque, la novità, e quindi anche il “che cosa”, dell’evento di Damietta? Novità, si intende, relativamente all’ottica della crociata, finalizzata al solo cambiamento altrui, e con l’ausilio della forza. È, perciò, Damietta evento di ospitalità che capovolge un Occidente autoreferenziale, chiuso o “mondano”, come direbbe papa Francesco?»

L’Autore

Giuseppe Buffon ofm è professore ordinario di Storia della Chiesa alla Pontificia Università Antonianum di Roma. Già direttore della rivista Antonianum, attualmente è decano della Facoltà di Teologia dello stesso Ateneo. Collabora con diversi periodici, tra cui: Revue d’Histoire Ecclésiastique, Rivisita di Storia della Chiesa in Italia, Catholic Historical Review, Sémata, Archivum Franciscanum Historicum, Archivio Italiano di Storia della Pietà, Internationale Zeitschrift für Humboldt Studien, Archivo Ibero-Americano.

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