Firenze, 2 novembre 2017 – La politica ha il dovere di prendere atto degli impulsi provenienti dalla finanza mondiale e cogliere l’importanza dei segnali che arrivano dallo spostamento sempre più frequente di capitali da investimenti classici a quelli cosiddetti “carbon free”. È il messaggio lanciato dal 14esimo Forum internazionale per la Salvaguardia della natura, iniziato oggi la sede della regione Toscana a Firenze. L’incontro, organizzato dall’associazione culturale Greenaccord Onlus in collaborazione con la Regione Toscana, i Ministeri degli Esteri e dell’Ambiente, Enel Green Power e Geoknowledge Foundation, è l’occasione per fare il punto sull’impatto dei cambiamenti climatici alla luce dell’Accordo di Parigi raggiunto nel 2015.

“L’accordo di Parigi – ha spiegato Alfonso Cauteruccio, presidente di Greenaccord – più si allontana nel tempo e più se ne nota la fragilità politica”. Per Cauteruccio, il business “no carbon” è una strada sempre più intrapresa dalle aziende che “hanno adottato il criterio della sostenibilità oppure hanno scelto di reinventarsi sulla ricerca o sulla produzione di materiali innovativi e rispettosi dell’ambiente. I soldi iniziano a muoversi e si tratta di cifre significative e consistenti che fanno intendere che tutti vogliono trovarsi pronti appena ci sarà l’abbandono del petrolio e degli altri fossili”. Un percorso che la politica non può più fingere di non vedere.

Per Federica Fratoni, assessore all’ambiente della regione Toscana, le sfide proposte dai cambiamenti climatici “si declinano sui territori e la nostra Regione, con la ricchezza delle geotermia copre i 30% dei consumi energetici”.

Ad analizzare le implicazioni del climate change sull’economia è Ivan Faiella, senior economist di Banca d’Italia, che ha ricordato alcuni dati del nostro Paese. “Per l’Italia si stima lo 0,3% di perdita di Pil fino al 2050 causato dai cambiamenti climatici”, dati che dovrebbero spingere la politica a prendere provvedimenti. “Le simulazioni effettuate da Banca d’Italia sulle principali utilities energetiche europee hanno evidenziato come, dal 2011, un investimento in un portafoglio titoli composto da aziende low carbon avrebbe garantito un rendimento il 12% in più di rispetto a un portafoglio composto da aziende ad alta intensità di carbonio. Oggi il 31% delle azioni di aziende ‘high carbon’ sono in mano a fondi comuni d’investimento. Se ci fosse una improvvisa svalutazione dei questi asset, a causa ad esempio di danni ambientali o scelte politiche, ciò porterebbe a un brusco repricing che produrrebbe un danno alla stabilità dei molti istituti finanziari”, ha spiegato Faiella.

Lo scenario descritto dall’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile firmata dai capi di Stato “è un chiaro segnale di allarme che dice che ci stiamo schiantando come mondo”, ha ricordato Enrico Giovannini, ex ministro del Lavoro, professione ordinario di Statistica economica presso l’università di Roma Tor Vergata e fondatore di Asvis (Alleanza Italiana Sviluppo sostenibile).

Per Giovannini “il sistema non sta producendo una risposta sufficientemente rapida per cambiare traiettoria allo scenario. È bene che la finanza si stia rendendo conto dell’impatto del climate change ma il tema vero è la rapidità di reazione che non è appropriata per le sfide che abbiamo davanti”. Per il fondatore di Asvis lo “schianto” ambientale non è meno grave dell’impatto sociale e questo perché manca “una visione integrata sullo sviluppo sostenibile”. In Italia, ha ricordato Giovannini, “manca un piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici e in Parlamento è ferma una legge contro il consumo di suolo, a conferma del grave ritardo politico del nostro Paese su questi temi”.

Continuare come abbiamo sempre fatto “è un’opzione non più sostenibile”, è l’allarme lanciato anche da Robert Costanza, docente dell’Università nazionale australiana. “Spesso le civiltà crollano e la nostra sfida è impedirlo”, ha detto l’economista. “Dobbiamo pensare, agire e finanziarci in modo diverso da come fatto fin qui rispettando confini e vincoli ecologici, interrompendo l’obiettivo di far crescere l’economia in modo indefinito”. La vera sfida, ha ribadito l’economista ideatore del Gpi (Genuine Progress Indicator), è “come imporre una visione più ecologica e integrata. Sappiamo che molte delle politiche attuali sono concentrate sulla crescita del Pil che tuttavia è solo un indicatore dell’attività sul mercato”. Per Costanza occorre ricucire lo scollamento tra Pil e la soddisfazione di vita, rompendo “il segnale di dipendenza dalla crescita ad ogni costo che è una forma di tossicodipendenza da fossili”.

Una vera rivoluzione ecologica è quella auspicata da Hunter Lovins, presidente del Natural Capitalism Solutions, che ha sottolineato gli ingenti danni economici e sociali causati dai cambiamenti climatici. “Ci sono 65 milioni di persone che sono costrette ad emigrare per colpa dei climate change e servono misure adeguate per bloccare questa crisi ambientale”.

 Anna Maria De Luca

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