Teatro India – 11 ottobre 2019

Nel­lo spet­ta­co­lo di­ret­to da Mas­si­mo Ba­ril­la e Sal­va­to­re Are­na la storia di un innocente, Giuseppe Gullotta: COME UN GRANELLO DI SABBIA rac­con­ta la “sto­ria” dal pun­to di vi­sta di chi ne su­bi­sce le de­via­zio­ni. Una vicenda le­ga­ta all’ingiusta con­dan­na di un innocente costretto a scontare 22 anni di carcere dopo essere stato obbligato a confessare un delitto di mafia per coprire i veri colpevoli.


testo e regia di Salvatore Arena e Massimo Barilla
con Salvatore Arena
scene Aldo Zucco
musiche originali Luigi Polimeni
disegno luci Stefano Barbagallo
equipe tecnica di scenografia Antonino Alessi Grazia Bono Caterina Morano
assistente alla regia Ylenia Zindato
consulenza storica Giuseppe Gulotta e Nicola Biondo
autori del libro Alkamar-la mia vita in carcere da innocente (ed. Chiarelettere)

Coproduzione Mana Chuma Teatro, Fondazione Horcynus Orca, Horcynus Festival ‘15
con il sostegno di Camera Penale di Roma e Fondazione Giuseppe Gulotta

Premio Selezione In-box Blu 2016

Il 13 febbraio del 1976, a diciotto anni, Giuseppe Gulotta, giovane muratore con una vita come tante, viene arrestato e costretto a confessare l’omicidio di due carabinieri ad Alkamar, una piccola caserma in provincia di Trapani. Gulotta ha vissuto ventidue anni in carcere da innocente e trentasei anni di calvario con la giustizia. Alla sua storia è ispirato lo spettacolo Come un granello di sabbia, scritto e diretto da Massimo Barilla e da Salvatore Arena, che darà voce a Gulotta e agli altri protagonisti di questa vicenda, in scena venerdì 11 ottobre (ore 21) al Teatro India.

Il delitto nasconde misteri indicibili: servizi segreti e uomini dello Stato che trattano con gruppi neofascisti e mafia traffici di armi e droga. Per far calare il silenzio serve un capro espiatorio, uno qualsiasi. Inizia così il patimento di Gulotta, un uomo che non è mai fuggito, ma ha lottato sempre a testa alta, restando lì, «come un granello di sabbia» all’interno di un enorme ingranaggio, fino al processo di revisione (il decimo, di una lunga serie), ostinatamente cercato e ottenuto, che lo ha definitivamente riabilitato.

Una storia dai contorni oscuri e tormentati e dalle conseguenze drammatiche e non risanabili. Affrontare questi avvenimenti sulle tavole di un palcoscenico pone di fronte a una grande responsabilità: la responsabilità di non tacere l’incredibile caso legale, la lunghissima serie di omissioni, errori, leggerezze, falsificazioni, palesi violazioni della legge, che oggi consentono di definire questa storia come una vera e propria frode giudiziaria.

Giuseppe Gulotta, è rimasto ancorato alla sua straordinaria incapacità di maturare rancore, nonostante abbia subito una vicenda assurda e durissima cominciata a diciotto anni e finita trentasei anni dopo, quando le confessioni postume di un carabiniere che ha raccontato delle torture e della dissennata gestione delle indagini, ha consentito il processo di revisione e la completa riabilitazione.

Il senso profondo di questa drammaturgia nasce da quello che il protagonista è riuscito delicatamente a consegnare, molto di più che dallo studio delle carte processuali e dei documenti storici: il racconto di una gioventù interrotta, l’arresto, le torture, la lunga carcerazione, ma anche l’irriducibile speranza in una restituzione finale della propria umile e alta identità. Il racconto è infatti declinato attraverso la vicenda umana di Giuseppe (ma anche di Salvatore e Carmine – le due vittime della strage – o di Giovanni, Vincenzo, Gaetano – gli altri capri espiatori designati), rendendo giustizia alla sua dimensione personale, quella di una vita quasi interamente sottratta per ragioni inconfessabili.

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