Tira vento a Göbekli Tepe, tra le pietre del tempio più antico del mondo. Per millenni non hanno visto la luce della Mesopotamia né l’aria che profuma dei campi in cui, secondo gli storici, iniziò la coltivazione del grano. Misteriosamente seppellito nella notte dei tempi, il santuario del Neolitico preceramico solo da pochi mesi è visitabile al pubblico e, dal 2018, è entrato, a pieno diritto, nella lista Unesco.

E’quasi una forzatura descrivere a parole Göbekli Tepe. Davanti a tale immensità sarebbe più consono il silenzio, la contemplazione. Ritrovato nel ’63 da archeologi turchi e statunitensi, è riemerso nel 1995 grazie ai lavori di scavo condotti per venti anni da Klaus Schmidt. E’un luogo che dimostra come la vertigine comunemente associata alla percezione dello spazio, possa esistere anche nella dimensione del tempo, nei suoi dodicimila anni di esistenza segreta, secondo la datazione al radiocarbonio. Un’età che forse la nostra mente non riesce a collocare, a concepire, se non trovando dei punti di riferimento: ottomila anni prima di Stonehenge, settemila anni prima delle piramidi di Giza.

Chi ha costruito il monumentale santuario megalitico che ci troviamo ora davanti agli occhi? Uomini animati da un bisogno di sacro tale da sollevare pietre di 14 tonnellate e di rifinirle in modo cosi perfetto, prima ancora dell’epoca dei metalli, prima della ruota. E’la scoperta archeologica più importante del secolo, “un assoluto” che sta riscrivendo la storia dell’umanità proprio dove tutto è cominciato: nella mezzaluna fertile della Mesopotamia. Fino ad oggi sono circa 40 le pietre a forma di T portate alla luce: alte sei metri e scolpite con rilievi di animali e motivi geometrici, con il loro enigmatico silenzio ribaltano le consolidate teorie che pongono la nascita dell’agricoltura come causa della sedentarizzazione dell’uomo. Intanto, a pochi metri di distanza, si continua a scavare per riscrivere le prime pagine della storia umana: gli studiosi hanno motivo di credere che nell’area ci fossero tanti templi, una ventina, ed ipotizzano quindi che Göbekli Tepe fosse il centro di pellegrinaggio del Neolitico, prima di essere misteriosamente seppellito.

La Mesopotamia non è una destinazione molto battuta dai turisti. Per fortuna, verrebbe da dire. In questa parte di mondo tra il Tigri e l’Eufrate, nel sud-est della Turchia, a 50 chilometri dal confine siriano, sopravvive una autenticità che sfugge al turismo di massa. A quindici chilometri da Göbekli Tepe, entriamo nella terra sacra di Sanliurfa, l’antica Ur, la città dei profeti. Qui vissero gli Urriti, nell’Età del Bronzo (dal 2000 a.C. al 1500 a.C.) e gli Ittiti, il più noto dei popoli anatolici, dal 1200 a.C. Qui nacque Abramo, in una grotta in prossimità dell’attuale moschea di Mevlid Halil, entrambe meta di venerazione, cosi come il misterioso lago di Abramo, incantevole con le sue architetture, la sua storia e le sue carpe sacre. Da vedere è il mercato di Sanliurfa. Dimenticate il set dei suk: qua non esiste confusione, gente che vi chiama per comprare, motorini che sfrecciano e voci che si rincorrono. E’un luogo ordinato e pulito dove si compra in tranquillità senza che nessuno vi assilli, spezie, gioielli, tessuti da Mille e una Notte.

Ultima tappa: Harran, 44 km a sud est di Şanlıurfa, la città sacra legata ad Abramo. Nel periodo islamico ha ripreso l’antico nome assiro Ḫarrānu (si chiamava Carrhae nel periodo romano, Hellenopolis nei primi secoli del cristianesimo). Oggi conserva evidenti tracce dei suoi cinquemila anni di storia, dalle case di argilla simili ai nostri trulli al più antico centro studi: qui arrivavano scienziati da tutta la Mesopotamia, per studiare le stelle ma anche la medicina nel luogo in cui un tempo Assiri e Babilonesi veneravano la luna, Sin, simbolo di abbondanza ed eternità.

Anna Maria De Luca