Tra i più celebri racconti di Cechov, Il reparto numero 6 fu scritto nel 1892, dopo il ritorno dell’autore da Sachalin, l’isola russa che ospitava la colonia penale alla quale dedicò un libro-inchiesta sulle disumane condizioni di vita dei forzati. Resoconto e aspra invettiva, critica sociale e allegoria si intrecciano in queste pagine, che ripercorrono la quotidianità nel piccolo padiglione psichiatrico di un ospedale civile della Russia zarista, dove sono internate e rinchiuse cinque persone trattate come animali.

C’è un piccolo padiglione nel cortile dell’ospedale, cir­condato da un vero e proprio bosco di cardi, ortica e canapa selvatica. Il tetto è arrugginito, il comignolo mezzo crollato, gli scalini della porta d’ingresso marciti e infestati d’erba, e dell’intonaco non è rimasta che qualche traccia. Il padiglione, con la sua facciata anteriore, è rivolto verso l’ospedale. Con quella posteriore si apre alla cam­pagna, da cui è separato dal brunito recinto dell’ospedale irto di spuntoni. Questi, le cui punte sono rivolte all’insù, il recinto e il padiglione stesso hanno quell’aria particolare di squallore e desolazione che in Russia è una tipica carat­teristica delle costruzioni ospedaliere e carcerarie. Se non avete timore di pungervi con l’ortica, inoltriamoci per l’an­gusto sentiero che conduce al padiglione, e osserviamo cosa vi accade dentro.

Anton Cechov (1860 – 1904), tra i maggiori autori russi, scrittore introverso e drammaturgo eccelso, ha denunciato la società del suo tempo, senza risparmiare la vita intellettuale e letteraria. Tra i suoi capolavori, modellati sul tragico quotidiano e sull’alienazione esistenziale, Il gabbiano, Zio Vanja, Le tre sorelle e Il giardino dei ciliegi.

CONDIVIDI
Articolo precedenteIl mio compleanno
Articolo successivoPetra by Night

COMMENTA