Formentera è la più piccola delle Baleari abitate. Ottantatré chilometri quadrati di bellezza fragile. Spiagge che sembrano caraibiche, acque che passano dal turchese al cobalto senza soluzione di continuità, saline dove i fenicotteri si fermano a riposare. Un paradiso che rischiava di morire soffocato dai gas di scarico.

Sono arrivata a Formentera su un traghetto da Ibiza, in una mattina di maggio quando il mare era così calmo da sembrare vetro liquido. L’isola appariva all’orizzonte come un miraggio bianco e verde, e mentre ci avvicinavamo ho notato qualcosa di insolito: il porto non era invaso da auto in attesa di imbarco. Poche macchine, alcune biciclette elettriche, scooter silenziosi. Ho pensato: forse sono arrivata troppo presto. Poi ho capito: no, è l’isola che ha deciso di arrivare prima, prima che fosse troppo tardi.

La rivoluzione silenziosa delle quattro ruote elettriche

Ho noleggiato un’auto elettrica al porto. Una piccola city car bianca, silenziosa. “Ricarica gratuita in tutta l’isola,” mi ha detto il ragazzo del noleggio con un sorriso. “Ci sono stazioni ovunque. E con questa,” ha aggiunto picchiettando sul cofano, “entri dove le altre non possono.”

Ho guidato verso Es Pujols, e il silenzio mi ha colpito. Non il rombo dei motori, non il puzzo della benzina. Solo il fruscio delle ruote sull’asfalto e il canto delle cicale. Ho capito subito perché Formentera aveva scelto questa strada: l’elettrico non è solo tecnologia, è filosofia. È il tentativo di attraversare un luogo senza lasciare traccia, senza ferirlo con il nostro passaggio.

L’isola ha fatto dell’incentivazione dei veicoli elettrici una priorità. Sgravi fiscali per chi compra auto a emissioni zero, stazioni di ricarica gratuite sparse strategicamente, accesso preferenziale alle zone più sensibili. Non è solo marketing verde: è sopravvivenza.

“Prima respiravamo smog anche qui,” mi ha raccontato Carles, un residente che gestisce un piccolo bar a La Savina. “Le macchine a benzina dei turisti, i diesel che ruggivano sulle nostre strade. Ora l’aria è diversa. Te ne accorgi soprattutto la sera, quando il vento cala. L’isola respira.”

Il coraggio di dire “basta”

Ma la vera rivoluzione di Formentera non sono le auto elettriche. È il coraggio di aver detto: basta. Basta con l’idea che più turisti significhi più benessere. Basta con l’illusione che un’isola piccola possa accogliere infiniti veicoli senza implodere.

Le autorità locali hanno fatto qualcosa di impensabile per la maggior parte delle destinazioni turistiche: hanno limitato il numero di veicoli che possono circolare sull’isola. Un tetto massimo, invalicabile. Non importa quanti turisti vogliano venire, non importa quanto denaro possano portare. C’è un limite fisico, geografico, esistenziale.

La matematica è semplice e brutale: Formentera ha circa dodicimila residenti. In alta stagione può arrivare a ospitare cinquantamila persone al giorno. Se ognuna portasse un’auto, l’isola sarebbe un parcheggio galleggiante. Così hanno introdotto restrizioni severe: numero limitato di veicoli privati immatricolabili, controlli all’imbarco, incentivi massicci per mezzi pubblici, biciclette, scooter elettrici. L’hanno fatto gradualmente, non con la violenza di un decreto improvviso, ma con la pazienza di chi sa che i cambiamenti veri richiedono tempo.

Spostarsi senza possedere

Ho trascorso una settimana sull’isola muovendomi solo con mezzi elettrici. La mia auto a noleggio, poi una bicicletta elettrica, poi uno scooter. Tutto prenotabile online prima dell’arrivo, tutto integrato in un sistema che funziona.

Le strade di Formentera sono state ripensate. Piste ciclabili sicure che collegano le spiagge ai villaggi. Percorsi pedonali immersi nella natura. Zone dove le auto – anche elettriche – non possono entrare, preservate per chi cammina o pedala.

Un pomeriggio, pedalando verso Cala Saona, ho incrociato una famiglia olandese su biciclette elettriche. I bambini ridevano, i genitori sembravano rilassati. “Questo è il vero lusso,” mi ha detto il padre fermandosi a bere alla mia stessa fontanella. “Non dover pensare al traffico, al parcheggio, allo stress. Qui ti muovi e basta”. Ha ragione. Formentera ha capito qualcosa che molte destinazioni ancora ignorano: la libertà non è possedere un mezzo, è potersi muovere senza danneggiare. È attraversare un paesaggio sentendosi parte di esso, non una minaccia.

L’aria che si vede

Ma al di là della filosofia, ci sono i fatti concreti. L’aria di Formentera è misurabilmente più pulita da quando le politiche sulla mobilità sono entrate in vigore. Meno ossidi di azoto, meno particolato, meno CO2. I dati sono lì, incontrovertibili. I grafici sono chiari: curve che scendono, inquinanti che diminuiscono, miglioramenti costanti anno dopo anno. Non è solo una questione ambientale: è salute pubblica. I residenti hanno visto diminuire i casi di asma, le allergie respiratorie. I turisti vengono qui anche per respirare quest’aria pura. È diventato parte dell’esperienza.

E poi c’è il paesaggio. Meno veicoli significa meno necessità di nuove strade, meno asfalto, meno cemento. Formentera è riuscita a preservare la sua bellezza naturale proprio perché ha avuto il coraggio di limitare l’accesso. Un paradosso solo apparente: per condividere un luogo, a volte bisogna proteggerlo da troppa condivisione.

Il prezzo del coraggio

Ma non è stato tutto facile. Ho parlato con alcuni operatori turistici che inizialmente si sono opposti: pensavano di perdere clienti. Al contrario, l’economia locale non ha sofferto e settore del noleggio di veicoli elettrici è esploso. Nuove attività legate all’ecoturismo sono nate. I turisti che scelgono Formentera ora sono spesso quelli disposti a spendere di più, a restare più a lungo, a rispettare di più.

Hanno perso i turisti mordi-e-fuggi che venivano per un giorno, affittavano un’auto, facevano il giro, inquinavano e se ne andavano, ma hanno guadagnato visitatori che restano una settimana, che pedalano, che scoprono l’isola lentamente. È un turismo più sostenibile anche economicamente.

Le crepe nel sistema

Ma sarebbe disonesto dipingere solo successi. Ho anche visto i problemi. D’estate, quando l’isola si riempie, le biciclette elettriche scarseggiano. I turisti si lamentano dei costi del noleggio – più alti che altrove. Alcuni aggirano le regole, portando veicoli non autorizzati.

E poi c’è la questione dei residenti. Ho parlato con anziani che faticano a usare biciclette elettriche, che si sentono penalizzati dalle restrizioni pensate per i turisti. “Io vivo qui da settant’anni,” mi ha detto una signora al mercato di San Francisco. “E ora devo chiedere permessi per portare mia figlia con la macchina?”

Sono contraddizioni reali. La sostenibilità ha un costo, e non sempre è distribuito equamente. Formentera sta ancora cercando il giusto equilibrio tra protezione ambientale e qualità della vita per chi ci vive tutto l’anno.

L’isola come maestra

L’ultimo giorno, sono tornata a Ses Illetes, la spiaggia più famosa dell’isola. Quella striscia sottile di sabbia bianca tra due mari, quel luogo che sembra irreale per quanto è bello. Ho lasciato la mia bici elettrica nel parcheggio – ordinato, non sovraffollato – e sono andata verso l’acqua.

Intorno a me, famiglie, coppie, viaggiatori solitari. Nessuno urlava, nessuno correva. C’era quella lentezza benedetta che nasce quando ti muovi a bassa velocità, quando il viaggio stesso diventa parte della destinazione.

Ho ripensato a tutte le isole che ho visitato nella mia vita. Quelle rovinate dal cemento, quelle soffocate dal traffico, quelle che hanno venduto la loro anima per denaro rapido. E ho pensato che Formentera ha diversamente. Ha fatto qualcosa di raro: ha guardato in faccia il futuro e ha deciso di cambiare prima di essere costretta a farlo.

Le auto elettriche, la limitazione dei veicoli, gli incentivi alla mobilità dolce: non sono solo politiche. Sono una dichiarazione di intenti. Un modo di dire: questo luogo vale più del profitto immediato. Vale la pena di essere preservato, protetto, amato.

Mentre il traghetto mi riportava a Ibiza, guardavo Formentera allontanarsi. Una piccola isola bianca nel blu infinito del Mediterraneo. E ho pensato che forse, solo forse, il futuro del turismo sostenibile non sta nelle grandi dichiarazioni o nei summit internazionali. Sta in piccole isole coraggiose che hanno il coraggio di dire “basta”, che scelgono il silenzio elettrico invece del ruggito dei motori, che preferiscono respirare piuttosto che soffocare sotto il peso del proprio successo.

Formentera non ha risolto tutti i problemi del turismo di massa. Ma ha mostrato che un’altra strada è possibile. E a volte, in questo mondo così rumoroso e affollato, mostrare che un’altra strada esiste è già una rivoluzione.

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