Un libro di Immanuel Kant, per di più l’ultimo pubblicato, è sempre un evento editoriale di rilievo. Ma quando si tratta di un’opera come “Antropologia pragmatica”, presentata con una nuova traduzione e un commento dettagliato, l’interesse si fa ancora più acuto. Curata da Alberto Tettamanti, già noto per le sue preziose edizioni di classici della filosofia, questa nuova uscita della Armando Editore si presenta come un’opportunità unica per riscoprire un testo fondamentale e, per certi versi, ingiustamente trascurato.

In un certo senso, “Antropologia pragmatica” (1798) può essere vista come il testamento spirituale di Kant, una sorta di compendio finale della sua filosofia. Se nelle celebri “tre Critiche” si era interrogato sui limiti e sulle possibilità della ragione, in quest’opera si concentra su una domanda più profonda e, se vogliamo, più “umana”: “che cos’è l’uomo?”. Ma non lo fa con il rigore speculativo delle opere precedenti, bensì con un approccio pragmatico, guardando all’uomo così com’è, nelle sue azioni, nelle sue relazioni e nelle sue infinite sfaccettature.

Non è un caso che il testo sia stato definito un vero e proprio manifesto dell’Illuminismo europeo. Kant qui spazia con grande acume tra psicologia, sociologia e morale, offrendo una quantità enorme di osservazioni e conoscenze che, a distanza di oltre due secoli, conservano una sorprendente attualità. Il pregio di questa edizione, oltre alla nuova traduzione che ne rende la lettura più fluida, risiede nel meticoloso commento di Tettamanti, che guida il lettore attraverso i passaggi più complessi, contestualizzando il pensiero kantiano e mettendone in luce l’enorme portata.

Insomma, “Antropologia pragmatica” non è un libro per soli addetti ai lavori, ma un’opera che merita di essere riscoperta da tutti coloro che vogliono approfondire la loro comprensione dell’essere umano. Un testo che dimostra come la filosofia, se affrontata con la giusta chiave di lettura, possa essere uno strumento potentissimo per decifrare la nostra contemporaneità.

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