C’è una parola che negli ultimi anni è stata svuotata di senso, usata e abusata fino a diventare poco più che uno slogan di marketing: spiritualità. Eppure in Aragona, quando parli di “Aragona con l’anima”, quella parola torna a pesare. Torna a significare qualcosa.

Perché qui il sacro non è un’attrazione turistica costruita a tavolino. È stratificato nella pietra delle cattedrali, inciso nei passi di milioni di pellegrini, custodito nel silenzio dei monasteri dove ancora oggi qualcuno prega. È storia viva, non museo.

La Basilica del Pilar accoglie più di quattro milioni di visitatori all’anno. Il Santuario di Torreciudad ha superato i dodici milioni di pellegrini in cinquant’anni. Numeri che farebbero la felicità di qualsiasi ufficio del turismo, certo. Ma che qui raccontano anche un’altra storia: quella di una devozione mariana profonda, radicata nei secoli, che ha trasformato questa terra in uno dei centri spirituali più importanti d’Europa.

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Non è solo fede cattolica. È architettura che parla lingue diverse: dal romanico pionieristico della Cattedrale di Jaca al mudéjar riconosciuto dall’UNESCO di Tarazona, Teruel, La Seo. Ogni stile un capitolo della storia spagnola, ogni pietra un dialogo tra culture che qui, per secoli, si sono intrecciate senza annientarsi.

E poi ci sono i cammini. Quello francese di Santiago, il Giacobeo dell’Ebro, il Cammino del Santo Graal. Percorsi che sono molto più di itinerari turistici: sono esercizi spirituali in movimento, prove di resistenza fisica e mentale, viaggi interiori camuffati da chilometri. Ho sempre pensato che il pellegrinaggio sia una delle poche esperienze autentiche rimaste in questo mondo saturo di simulacri. Cammini non per arrivare, ma per cambiare mentre cammini.

Il patrimonio monastico aragonese è ancora vivo – ed è questa la parola chiave. San Juan de la Peña, la Certosa dell’Aula Dei, Nuestra Señora del Olivar non sono cartoline del passato. Ospitano ancora comunità religiose, uomini e donne che hanno scelto il silenzio e la preghiera in un’epoca che urla e si agita senza sosta. Visitarli non è voyeurismo spirituale: è entrare in contatto con una scelta radicale, quasi incomprensibile per chi vive fuori da quelle mura.

Adesso l’Aragona è Membro Fondatore della Rete Mondiale del Turismo Religioso. Un riconoscimento che la colloca in un mercato che muove 150 milioni di viaggiatori all’anno – cifra che fa girare la testa agli economisti e inquietare gli antropologi. Perché quando il sacro diventa “mercato”, quando la fede si trasforma in “prodotto turistico”, bisogna stare attenti. Molto attenti.

Il progetto “Aragona con l’anima” cerca di bilanciare questa contraddizione. Parla di turismo sostenibile, di professionalizzazione, di un modello che possa attrarre sia il viaggiatore devoto sia quello interessato alla cultura religiosa. È un equilibrio difficile, forse impossibile. Come si fa a preservare l’autenticità di un luogo sacro quando lo si apre al turismo di massa? Come si distingue un pellegrino da un turista con lo zaino?

Forse la risposta sta proprio nei luoghi stessi. Una cattedrale romanica non smette di essere sacra perché qualcuno la fotografa. Un cammino non perde il suo potere trasformativo perché viene segnalato sulle mappe. Il sacro resiste, se gli si lascia lo spazio per resistere.

Quest’anno, nel 2025, è Anno Santo. L’Aragona ha designato una ventina di templi giubilari per accogliere i pellegrini. È un’opportunità, dicono. E lo è, certamente. Ma è anche una prova. Perché dovremo vedere se questi luoghi sapranno mantenere la loro anima mentre accolgono migliaia di visitatori. Se riusciranno a restare spazi di silenzio in mezzo al rumore.

Anni fa, camminando verso Santiago, incontrai un vecchio basco che mi disse: “Il cammino non finisce a Compostela. Finisce quando torni a casa e scopri di essere cambiato”. Ecco, forse è questo che l’Aragona dovrebbe offrire ai suoi visitatori. Non solo chiese e monasteri, non solo numeri e statistiche turistiche. Ma la possibilità di cambiare. Di fermarsi. Di ritrovare, magari, qualcosa che credevano perduto.

In un’epoca di velocità e superficie, l’Aragona custodisce luoghi che ti obbligano a rallentare, a guardare in profondità. Luoghi che – se gliene dai l’occasione – ti ricordano che esiste qualcosa oltre il visibile, oltre il misurabile.

Che esista o no un Dio, questo è affar vostro. Ma che esistano luoghi capaci di farti fare domande più grandi di te, questo è un fatto. E l’Aragona ne è piena.

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