In questa intervista avremo l’opportunità di scoprire Elisa Rovesta, autrice di Fashion Outsider non è solo un libro che descrive la moda, ma una riflessione sulla società, sulla creatività e sull’autenticità in un settore che spesso sembra chiuso e inaccessibile.

Elisa Rovesta è da sempre affascinata dalle mode e dai costumi della società. Specialista in brand, stile e tendenze, ha pubblicato una trilogia dedicata alla contemporaneità e alle dinamiche umane, raccontando con ironia, stile e profondità i piccoli e grandi movimenti del nostro tempo (Fatti di umani, Umanistili e una ballerina sulla luna, Umane-stelle, NFC). Per Panorama.it cura la rubrica Stili Umani. Scrive per il corner Contemporanea attitude di Prometeoliberato.com in cui osserva con intelligenza e leggerezza le trasformazioni della società

Fashion Outsider è un viaggio nelle vite straordinarie di personaggi iconici che hanno lasciato un segno indelebile, non limitandosi a seguire le mode, ma stravolgendole e reinventando qualcosa di nuovo. Incontreremo artisti come Frida Kahlo e Salvador Dalì, designer come Piero Fornasetti e i fratelli Castiglione, stilisti come Elsa Schiapparelli, Coco Chanele Yves Saint Laurent, ma anche star della musica come Madonna e Micheal Jackson. Storie di legami e amicizia, ribellione e creatività, per comprendere come l’arte, la moda e il costumesiano sempre una sfida alle convenzioni.

“Fashion Outsider” racconta personalità che hanno trasformato le regole del costume. Qual è, secondo te, il tratto che definisce davvero un outsider?

Un outsider, come quelli di cui parlo in Fashion Outsider, è qualcuno che ha vissuto in epoche diverse contribuendo a cambiare le regole della propria contemporaneità. Lo ha fatto attraverso il talento, la personalità, il coraggio e una volontà profonda di non fermarsi mai. Alcuni lo hanno fatto con la musica, come Madonna; altri con la scrittura, come Truman Capote; altri ancora con la moda, come Valentino. Ognuno di loro, in modi differenti, ha incarnato l’idea di essere fuori dal coro pur essendo immerso nel proprio tempo. Li considero outsider perché non si sono mai conformati per compiacere. Hanno seguito la loro visione, la loro passione, il loro linguaggio. Sono stati — e restano — altrove: in un luogo dove si forma la mentalità e la cultura, ma dove non si smette mai di cercare.

Nel libro si intrecciano arte, moda e società. In che modo questi tre mondi dialogano tra loro nella costruzione di un immaginario collettivo?

Questi tre mondi — arte, moda e società —   credo che dialoghino continuamente. Si influenzano e si contaminano a vicenda. Basti pensare a Elsa Schiaparelli e Salvador Dalí: la loro amicizia e il loro sodalizio artistico hanno dato vita a creazioni straordinarie, come il celebre abito con l’aragosta. Oppure a Frida Kahlo e Helena Rubinstein: due universi apparentemente lontanissimi — quello dell’arte e quello della bellezza intesa come estetica femminile — che invece hanno trovato un punto d’incontro profondo. Attraverso l’amicizia, lo scambio e l’apertura reciproca, hanno dimostrato come la contaminazione possa diventare una forma d’arte. Ed è proprio questa capacità di lasciarsi ispirare dall’altro, senza chiudersi, che accomuna molti dei personaggi presenti nel libro.

Attraverso figure molto diverse, il libro mostra come lo stile possa diventare un linguaggio universale, capace di attraversare il tempo e le culture. È questo, secondo te, il vero potere degli outsider?

Il vero potere degli outsider non si può racchiudere in un’unica caratteristica. Il loro stile era — e in molti casi continua a essere — l’espressione più autentica della loro personalità. Lo hanno portato avanti con fermezza, con impegno, con una tenacia che a volte ha richiesto anche coraggio. Per questo credo che lo stile, inteso come carisma, come modo di essere e di restare fedeli a se stessi, rappresenti davvero uno dei poteri più forti degli outsider.

Molti outsider del passato hanno trasformato la loro diversità in un segno distintivo. Oggi, che viviamo in un tempo di continua esposizione e omologazione, cosa significa per te affermare la propria identità attraverso lo stile?

I personaggi di cui scrivo in Fashion Outsider, ma anche quelli dei miei libri precedenti, hanno tutti in comune un elemento: l’unicità. Nei libri precedenti avevo inventato figure ispirate alla nostra contemporaneità, mentre in Fashion Outsider racconto persone reali, vissute o ancora vive. Non credo che abbiano cercato la diversità come obiettivo, ma che abbiano voluto esprimere ciò che avevano dentro, ciò che avevano da dire. Più che diversità, la definirei unicità: la capacità di essere sé stessi in modo autentico. Nei miei libri torno spesso su questo tema — l’idea che l’unicità si alimenti osservando e lasciandosi ispirare dall’unicità altrui. È così che si cresce, nel talento ma anche nella vita quotidiana. La parola identità è molto forte, molto bella: quando prevale l’omologazione, si perde la possibilità di imparare davvero dalle persone.

Tu scrivi su note testate attraverso rubriche dedicate a cultura, società e contemporaneità. “Fashion Outsider” sembra raccogliere e ampliare quello stesso sguardo: è un punto di arrivo o un nuovo inizio nel tuo modo di raccontare il mondo?

Per me è un modo di raccontare il mondo. Attraverso questi personaggi — che siano reali o inventati — osservo e interpreto la contemporaneità. In alcuni casi scrivo anche di tendenze, ma ciò che mi interessa davvero è ciò che resta vivo dentro la nostra epoca: quello che c’è, ancora, nel mondo. Può essere qualcosa di positivo o anche no, ma è comunque qualcosa che vale la pena guardare. Credo che ci siamo un po’ disabituati a farlo, forse per il ritmo con cui viviamo, per gli eventi che ci travolgono ogni giorno, per l’avvento dei social. L’attenzione, oggi, raramente nasce dalla curiosità di conoscere. Eppure è proprio lì, in quello spazio che io chiamo altrove, che regna l’unicità. E l’unicità, in qualunque forma si manifesti, arricchisce sempre.

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