Esce in libreria AMERICA LATINA. Vivere nella contemporaneità. Visioni di architettura sostenibile, un imponente progetto editoriale senza precedenti, promosso dall’IILA – Organizzazione Internazionale Italo-Latino Americana, curato da Paola Pisanelli Nero, pubblicato da Gangemi Editore e realizzato con il contributo del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale italiano (DGCS/MAECI), e il sostegno di CAF – Banco de desarrollo de América Latina y el Caribe.

La forma di una casa e la cosmologia di un popolo, il tracciato di un edificio e la memoria collettiva di una comunità: è questo legame profondo, spesso invisibile agli occhi della contemporaneità globalizzata, che emerge con forza dal volume America Latina. Vivere nella contemporaneità. Visioni di architettura sostenibile, curato da Paola Pisanelli Nero per l’IILA e pubblicato da Gangemi Editore. Presentato all’ILA il 27 ottobre, il libro dimostra con i fatti come siano le popolazioni più vicine alla natura quelle più idonee a dare esempi di sostenibilità all’Europa, ed a ricordare agli architetti che l’aspirazione occidentale a diventare archistar non è il senso più profondo di ciò che possono realizzare nella vita.

Oltre la pietra, l’architettura come fatto sociale totale
In prospettiva antropologica, l’architettura non è mai soltanto tecnica costruttiva o esercizio estetico. Come insegnava Marcel Mauss con il concetto di “fatto sociale totale”, ogni manufatto umano condensa in sé dimensioni economiche, giuridiche, religiose, estetiche. Gli spazi che abitiamo sono testi da decifrare, palinsesti stratificati di significati che raccontano chi siamo, da dove veniamo, come immaginiamo il futuro.
Il progetto editoriale dell’IILA si colloca esattamente in questa prospettiva, restituendo dignità narrativa a 49 esperienze architettoniche distribuite su venti paesi. Non un atlante turistico delle “archistar” latinoamericane, concetto peraltro del tutto europeo, molto lontano dal genuino senso della professione di architetto cosi come intesa in America Latina, “a servizio per la comunità” , con un preciso “ruolo sociale”. Il libro è una mappatura etnografica delle modalità con cui le società contemporanee del subcontinente negoziano quotidianamente la propria identità attraverso lo spazio costruito.

“Opere e progetti dell’architettura latinoamericana più diffusa erano soprattutto quelli risultati dall’esportazione di modelli europei contaminati con i materiali dell’America latina“, osserva la curatrice, Paola Pisanelli Nero. Affermazione che apre uno squarcio su una questione centrale negli studi postcoloniali: la persistenza di strutture epistemiche egemoniche che continuano a determinare cosa sia degno di attenzione, cosa meriti di essere raccontato, quale conoscenza sia considerata legittima.
L’operazione culturale del volume diventa quindi, in senso ampio, un atto di decolonizzazione dello sguardo. Dare voce ai “contesti più decentrati” significa riconoscere che l’innovazione non è monopolio delle metropoli globali, che la sostenibilità non nasce necessariamente nei laboratori tecnologici del Nord del mondo, ma può germogliare – e di fatto germoglia – dalle pratiche situate, dalle conoscenze indigene, dalle economie locali.

Il libro è introdotto da un testo di Antonella Cavallari, Segretario Generale dell’IILA, che evidenzia l’importanza della cultura come leva per la trasformazione sostenibile: “Dobbiamo adeguare i nostri modelli per renderli compatibili con il rispetto del Pianeta Terra, e quale miglior mezzo per produrre tale cambio se non la cultura?». E della cultura è parte integrante l’architettura, che offre un contributo fondamentale: tutti noi abitiamo spazi pubblici e privati e questi spazi sono la prima dimostrazione della sostenibilità del nostro modello di vita“. L’iniziativa editoriale si inserisce infatti in un più ampio impegno dell’IILA per promuovere la transizione verde attraverso progetti mirati e una narrazione condivisa.La decolonizzazione dello sguardo
L’approccio curatoriale rifugge ogni stereotipo: il libro non privilegia i paesi più esposti mediaticamente, ma dà spazio a una molteplicità di voci, studi, territori. Come sottolinea Paola Pisanelli Nero, “La narrazione architettonica era assente in molti contesti internazionali, né venivano esportati i progetti. Ho pensato così di voler dare voce e spazio anche ai contesti più decentrati, dimostrando che l’innovazione, quando è radicata nel territorio, può superare ogni moda e ogni geografia. Un esempio su tutti è il peruviano Luis Longhi, che ha costruito su una collina a pochi chilometri da Lima, vicino a resti pre-inca, una casa ipogea, realizzata in pietra con tecniche artigianali e maestranze locali, lasciando al paesaggio il compito di suggerire la destinazione d’uso dello spazio. Essendo l’architettura l’espressione di un popolo, ogni progetto diventa qui una chiave per leggerne le radici e la prospettiva in cui è nato, e al contempo ogni architetto un interprete della propria cultura materiale“.

Cosmologie abitative, quando lo spazio è visione del mondo
Particolarmente significativa è la presenza della “Vivienda Ara Pytu” in Paraguay, che si integra nel bosco secondo la visione cosmologica guaraní. Qui l’antropologia dell’abitare incontra l’etnografia delle ontologie: per i popoli originari delle Americhe, lo spazio non è una scatola vuota da riempire secondo criteri funzionali, ma un tessuto vivente di relazioni tra umani, non-umani, antenati e spiriti.
Il tetto-giardino non è solo strategia bioclimatica per ridurre la temperatura interna: è riconoscimento della continuità tra casa e foresta, tra cultura e natura – dicotomia, questa, che l’antropologia contemporanea sta faticosamente decostruendo dopo secoli di pensiero occidentale che l’ha data per scontata.
Allo stesso modo, la “Casa Fortunata” costruita attorno a un albero millenario nel sud del Brasile non è romanticismo ecologista: è rispetto per un’alterità temporale (un millennio di vita arborea) e riconoscimento dell’agency, della capacità di azione, di entità non-umane nel determinare la forma dello spazio abitato.
Tecniche del corpo e saperi incorporati
L’antropologia ha sempre mostrato interesse per quelle che Marcel Mauss chiamava “tecniche del corpo”: i modi culturalmente appresi di usare il nostro corpo, di muoverci, di gestire lo spazio. L’architettura è l’esteriorizzazione di queste tecniche, la loro cristallizzazione in forme durevoli.
La “Casa Pachacamac” scavata nella roccia vicino Lima, realizzata con tecniche artigianali e maestranze locali, è emblematica: il sapere necessario a costruirla non sta nei manuali di ingegneria, ma nelle mani degli artigiani, nella conoscenza tramandata generazionalmente del comportamento della pietra, nella capacità di leggere il paesaggio come palinsesto archeologico che dialoga con i resti pre-inca circostanti.
Siamo di fronte a quella che l’antropologo Tim Ingold chiama “skill”, abilità incorporata che si apprende solo attraverso l’esperienza diretta, la pratica ripetuta, l’immersione in un ambiente di apprendimento comunitario. L’architetto Luis Longhi non impone un progetto al territorio: lascia che sia il paesaggio stesso a suggerire la destinazione d’uso dello spazio, invertendo la gerarchia tipicamente modernista tra progettista e luogo.

L’architettura della precarietà, antropologia urbana delle tiny houses
La “Casa Parásito” a Quito merita un’attenzione particolare dal punto di vista antropologico. Questo prototipo di micro-abitazione, collocato sui tetti di edifici esistenti, risponde a trasformazioni sociodemografiche profonde: l’aumento delle famiglie monocomponente, la precarizzazione economica delle giovani generazioni, la densificazione urbana.
Ma il nome stesso – “parassita” – solleva questioni di ordine simbolico: in biologia, il parassita vive a spese dell’ospite. Qui invece siamo di fronte a una relazione simbiotica: l’edificio esistente guadagna nuova vita, il giovane abitante trova soluzione alla propria necessità abitativa. È una forma di bricolage urbano, per usare il termine di Lévi-Strauss: l’arte di “arrangiarsi” con i materiali disponibili, di trovare soluzioni creative dentro i vincoli strutturali della città neoliberale.


Autocostruzione e agency comunitaria
La “Casa de la lluvia (de ideas)” a Bogotá, spazio sociale autogestito realizzato con tecniche di autocostruzione, ci riporta all’antropologia politica e ai temi dell’autogoverno, della partecipazione diretta, della costruzione dal basso di commons urbani.
L’autocostruzione non è solo risposta alla carenza di risorse economiche: è rivendicazione di agency, di capacità di azione collettiva, di diritto alla città. È pratica di resistenza contro la mercificazione totale dello spazio urbano. Nelle periferie latinoamericane, l’autoconstrucción ha una storia lunga e complessa, intrecciata con i movimenti sociali, le lotte per la terra, la critica al modello di sviluppo urbano capitalista.
La memoria incarnata nei materiali
L’uso del bambù guadua nella “Iglesia sin religión” di Simón Vélez non è scelta meramente tecnica o ecologica. Il bambù è materiale profondamente radicato nelle tradizioni costruttive di vaste aree dell’America tropicale. Costruire con il bambù significa attivare filiere produttive locali, valorizzare saperi artigianali, riconnettere l’architettura contemporanea con un patrimonio tecnico-culturale millenario.
In questo senso, la sostenibilità non è solo ambientale ma anche culturale: sostenere significa letteralmente “tenere sotto”, reggere, far durare. Sostenere le tradizioni costruttive significa permettere loro di attraversare il tempo, di non spezzarsi sotto l’urto della globalizzazione omologante.


Verso un’ecologia delle relazioni
Ciò che emerge con forza da questa rassegna è una concezione relazionale della sostenibilità. Non si tratta semplicemente di ridurre le emissioni di CO2 o di installare pannelli solari (pur importanti), ma di ripensare radicalmente il nostro modo di stare al mondo, di abitare la Terra.
Il “Jardín Hospedero y Nectarífero” a Cali, spazio progettato per accogliere farfalle e insetti impollinatori, è riconoscimento esplicito che l’abitare umano non può essere separato dall’abitare di altre specie. È messa in pratica di quella che Donna Haraway chiama “sympoiesis”: il fare-con, il produrre insieme, la co-creazione di mondi abitabili in cui prosperità umana e prosperità ecologica non sono antagoniste ma interdipendenti.
L’architettura come traduzione culturale
“Essendo l’architettura l’espressione di un popolo, ogni progetto diventa qui una chiave per leggerne le radici e la prospettiva in cui è nato“, afferma la curatrice. In questa frase è condensato il valore antropologico dell’intera operazione: ogni edificio è traduzione spaziale di un immaginario collettivo, ogni soluzione tecnica è incorporazione di valori culturali.
Il volume dell’IILA non è quindi solo documentazione architettonica, ma etnografia visiva dell’America Latina contemporanea. Ci mostra società che stanno cercando di ricomporre fratture storiche profonde: quella tra modernità e tradizione, tra sviluppo e identità, tra aspirazioni globali e radicamenti locali.
In un’epoca in cui la crisi ecologica impone di ripensare radicalmente i nostri modelli abitativi, l’America Latina – con le sue pluralità, le sue contraddizioni, le sue sperimentazioni – si offre come laboratorio di possibilità alternative. Non per essere imitata acriticamente, ma per essere studiata, compresa, tradotta in altri contesti.
Perché, come ci ricorda l’antropologia, non esiste un’unica via verso la sostenibilità: esistono tante sostenibilità quante sono le culture che le immaginano e le praticano.
Anna Maria De Luca


Parallelamente alla pubblicazione, è stato sviluppato un sito web dedicato – www.americalatinarchitettura.com – che ospita la mostra multimediale, concepita per rendere accessibile e coinvolgente l’esperienza. Il visitatore può esplorare una selezione di immagini, testi, contenuti audio e visivi dei progetti, immergendosi nella realtà dei luoghi raccontati nel libro e accompagnato da una colonna sonora originale che restituisce l’atmosfera dei diversi territori. Un percorso pensato per ampliare il pubblico, abbattere le distanze e diffondere il valore di queste architetture oltre ogni confine. La piattaforma infine ha permesso di creare una rete importante di connessione tra architetti latinoamericani e italiani, un nuovo patrimonio di relazioni ed esperienze senz’altro utilissimo.
Il volume, distribuito da Messaggerie, è attualmente disponibile presso tutte le principali librerie e piattaforme digitali.
| Dati tecnici del volume: Titolo: AMERICA LATINA. Vivere nella contemporaneità. Visioni di architettura sostenibile Curatrice: Paola Pisanelli Nero Editore: Gangemi Editore Collana: Architettura, Urbanistica, Ambiente Pagine: 208 – Formato: 24×22 cm Legatura: Filorefe ISBN: 9788849252774 Lingue: Italiano, Spagnolo, Inglese Distribuzione internazionale Mostra e piattaforma digitale: www.americalatinarchitettura.comUfficio stampa Gangemi Editore Martina Tevere +39 06 6872774 – redazione7@gangemieditore.it |





