Dal 10 ottobre Roma, Perugia e Bologna, ospitano la quarta edizione di Incontri con il Cinema Buddhista, un festival che unisce cinema e spiritualità per interrogare il nostro tempo attraverso lo sguardo universale del buddhismo. Intervistiamo il direttore artistico Italo Spinelli.

Quarta edizione per “Incontri con il Cinema Buddhista”: come è cambiata la rassegna dal suo esordio ad oggi, e quale direzione ha preso quest’anno?

La rassegna è iniziata a Roma, al Cinema Nuovo Aquila, nel popolare quartiere Pigneto. Ha presentato fino ad oggi oltre 50 opere tra lungometraggi fiction, documentari e cortometraggi, in maggioranza anteprime europee e italiane. Gli “Incontri”, nascono dal rapporto tra Maria Angela Falà, presidente dell’Istituto di Cultura Buddhista “Maitreya” e il team del Festival “Asiatica”, di cui sono stato il direttore artistico. L’esperienza di “Asiatica”, che ha portato nella capitale, in 22 anni, oltre 450 film, autori e protagonisti del cinema asiatico ha sicuramente favorito l’individuazione di opere con un carattere, uno sfondo, una problematica e narrazione buddhista, includendo anche il tema dell’ambiente, le migrazioni. D’altronde Asiatica Film Festival ha sempre avuto come principio e guida l’innamoramento tra culture. La professionalità del team di Asiatica ha perciò ben accolto e realizzato l’intento di Maria Angela di produrre un evento cinematografico per la diffusione e la riflessione sulla cultura buddhista. Dalla terza edizione gli Incontri hanno replicato la selezione a Cagliari e Perugia e da quest’anno si è aggiunta una terza tappa, Bologna, con la sua prestigiosa Cineteca.

Il festival si interroga sul senso dell’esistenza partendo da una domanda essenziale: “Perché sono qui?” — Quanto è stato difficile tradurre questa domanda in una selezione di opere cinematografiche?

Il buddhismo, soprattutto nella sua origine con il Buddha, principia da domande fondamentali sul senso della vita, come “perché sono qui?”, in questi tempi di sconvolgimenti, di tragedie e fine delle utopie è giusto porsi delle domande essenziali, anche attraverso il cinema.

Molti film in programma provengono da contesti geografici e culturali diversi, ma sono accomunati da una profonda dimensione interiore. Cosa cercate nei film che selezionate per la rassegna?

Per la selezione della rassegna vediamo decine e decine di film, cerchiamo una scena, un personaggio, un luogo, un evento o un regista buddhista, certo, film e documentari devono essere d’ispirazione buddhista ma sempre solo dove incontrano la religione del cinema. Più in generale dev’esserci una buona storia ben raccontata insieme all’urgenza della sperimentazione cinematografica. 

Spiritualità e contemporaneità spesso sembrano appartenere a mondi separati. Come può il buddhismo aiutare oggi a comprendere il nostro tempo?

E’ una domanda difficile, provo a rispondere per quello che credo personalmente.

Esiste un’arte dell’ascoltare. Per riuscire ad ascoltare bisognerebbe abbandonare, o rimuovere i pregiudizi, i preconcetti, quando ci si trova in uno stato mentale ricettivo, come nella filosofia e pratica buddhista, è più facile, mi sembra, comprendere cosa accade oggi, c’è un’angoscia che sale, ed è diffusa in tutto il mondo, e non è solo individuale, ma collettiva.In questa confusa onda di distruzione, è necessario cercare una via che ci porta là dove tu, come individuo, divieni consapevole del tuo rapporto con gli altri.

Ciò che siamo, nel rapporto con gli altri è la società. “La società in se stessa non esiste. La società è ciò che voi e io, nel nostro rapporto, abbiamo creato”. Questo era il pensiero di un maestro spirituale, J. Krishnamurti, che non era buddhista e neanche io lo sono, ma credo in una libertà creativa che nella nostra contemporaneità è sempre più difficile, difficilissima.

“Loving Karma”, film d’apertura, racconta una storia di sofferenza trasformata in compassione. Cosa l’ha colpita di più di questa opera?

Mi ha colpito esattamente per la storia, appunto, di un uomo capace di trasformare una sofferenza in compassione.

“Agent of Happiness” mette in discussione il concetto stesso di benessere. Il cinema può davvero proporre nuovi paradigmi sociali, oltre che spirituali?

Non so fin dove può arrivare l’appassionata ricerca del cinema riguardo ai paradigmi sociali, ” Il cinema non deve necessariamente parlare di politica per essere politico” ha detto Jim Jarmush, e dove non arrivano le notizie, arriva il cinema (come è stato detto) lo dimostra un film come “The voice of Hind Rajab”.

 Il festival propone anche film classici come “Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera”. Perché è importante affiancare opere contemporanee e capolavori del passato?

Ci sono dei classici del passato, grandi film come “Arpa birmana”di Ichikawa ” Perché Bodhidharma partì per l’Oriente? di Yong-kyum, “Milarepa” di Cavani, che abbiamo presentato, o “Kundun” di Scorsese, “Piccolo Buddha”di Bertolucci, che i giovani di oggi non hanno incontrato al cinema nella grande sala, in quella specie di tempio in cui nel buio tutti insieme con gli occhi aperti facciamo lo stesso sogno. I classici non vanno visti su piccoli schermi, i capolavori del cinema creano un mondo, spesso migliore. E se cambiare il mondo ai giovani d’oggi non è permesso, al cinema, in sala, la  speranza, c’e’.

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Quest’anno, tra i tanti appuntamenti attesi, spicca l’eccezionale presenza del regista britannico Colin Still, autore di riferimento nel panorama internazionale per i suoi film su poesia, letteratura e spiritualità. Still presenterà in anteprima italiana il suo toccante documentario No More to Say and Nothing to Weep For, dedicato ad Allen Ginsberg, icona della Beat Generation e figura chiave del buddhismo occidentale. Un omaggio raro e intenso, arricchito da interviste a Peter Orlovsky, Patti Smith, Philip Glass, Lawrence Ferlinghetti, Gary Snyder e Gelek Rimpoche.

Conosciuto per la profondità del suo lavoro e la sua sensibilità poetica, Colin Still sarà a Roma per introdurre il film e tre suoi cortometraggi inediti in Italia, Father DeathWhat Were They Like? e The Cracked Goddess, offrendo al pubblico un’occasione unica di ascolto, dialogo e scoperta.

Queste le altre opere in programma: Loving Karma di Johnny Burke e Andrew Hinton racconta il ritorno del lama Lobsang Phuntsok nel suo villaggio per accogliere bambini in difficoltà; Seeking di Yang Yuan segue una giovane tibetana che a Tokyo riscopre il significato della fede del padre; Agent of Happiness di Arun Battahari e Dorottya Zurbó accompagna un ricercatore bhutanese che misura la felicità della popolazione; Hema Hema: Sing Me a Song While I Wait di Khyentse Norbu è un’opera visivamente ipnotica sulle maschere dell’identità; Mola: A Tibetan Tale of Love and Loss di Martin e Yangzom Brauen racconta l’ultimo incontro tra una monaca esule e la figlia; The Dalai Lama’s Gift di Ed Bastian documenta l’iniziazione al Kalachakra guidata dal Dalai Lama nel Wisconsin nel 1980; Wisdom of Happiness di Philip Delaquis e Barbara Miller è un’intima conversazione con Sua Santità sul vero senso della felicità; Sapana | Himalayan Trek to Dreams di Cezary Adamski è un viaggio in bicicletta tra sogni e paesaggi nepalesi; Dancing with the Dead esplora la vita del poeta e traduttore Bill Porter, in arte Red Pine; Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera di Kim Ki-Duk è una meditazione visiva sull’impermanenza della vita; My Lens, My Land di Daze intreccia immagini struggenti della vita quotidiana tibetana con una riflessione sulla crisi ambientale.

Un viaggio cinematografico che è anche un invito a rallentare, guardare in profondità e tornare a interrogarsi su cosa significhi oggi vivere con consapevolezza.

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