Alfonso Cauteruccio, presidente di Greenaccord ( a sinistra)

 Tutelare il territorio montano è anche una forma di rispetto per il forte ruolo delle montagne nella ricerca spirituale dell’Umanità: si è aperta con una serie di riflessioni religiose sul carattere sacro dei monti la prima sessione di lavori del IX Forum Greenaccord dell’Informazione cattolica per la Salvaguardia del Creato, ospitato alla Fondazione Bruno Kessler di Trento.

 Un excursus sui tanti passaggi contenuti nella Bibbia e nei Vangeli che hanno per scenario la montagna; un’analisi dei segni del Sacro rintracciabili nel territorio dolomitico; una spiegazione del perché le cime dei monti ispirano e aiutano il desiderio di spiritualità e ascesi insito nell’animo umano. Si è aperta con uno sguardo al carattere divino della montagna il IX Forum dell’Informazione cattolica per la Salvaguardia del Creato, organizzato da Greenaccord Onlus in collaborazione con UCSI (Unione cattolica Stampa Italiana) e FISC (Federazione italiana Settimanali Cattolici) e in partenariato con la Provincia autonoma e l’Arcidiocesi di Trento.

Una scelta non casuale: perché quest’anno il filo conduttore del Forum – contenuto già nel titolo (“Salì sul monte. Mons sanus pro corpore sano”) è rappresentato dalla montagna e dal cruciale ruolo che essa ha per lo sviluppo umano. Spirituale, morale, sociale, economico e ambientale.

“Solo il monte sembra offrire lo scenario perfetto per il colloquio con Dio” osserva il biblista Piero Rattin, primo tra i relatori intervenuti nella sessione inaugurale del Forum. “È lo scenario per l’abbandono del mondo e la salita verso il divino. Basta ripercorrere la Bibbia e i Vangeli per notare che molti dei più importanti passi hanno la montagna come contesto e spesso come co-protagonista. Il Monte Nebo, sul quale il profeta Mosé ebbe la visione della Terra Promessa che Dio aveva destinato al suo popolo. Il Monte Oreb (o Sinai) sul quale ricevette le tavole della Legge e che servì a un altro profeta, Elia, per sfuggire a un grande smarrimento e sul quale Dio si rivelò a lui. Il Monte Tabor, sul quale avvenne la trasfigurazione di Gesù. Il monte Golgota, teatro della sua Passione”. Persino il piccolo colle di pochi metri su cui Cristo salì per pronunciare forse il suo sermone più famoso è ricordato come “discorso della montagna”. “Il monte è lo scenario ideale di un’utopia mai spenta” prosegue Rattin. “Un segno del messaggo di Pace della religione cristiana: far convergere tutti i popoli in una convivenza finalmente armoniosa. Il progetto di pace è un cammino in salita perché arduo e difficoltoso. Ma solo alla fine di quel percorso in salita ci sarà il ristoro di Dio. Solo a quell’altezza gli uomini si ritroveranno fratelli”.

Un segno, quello di Dio, che è ben presente nel territorio dolomitico, recentemente incluso fra i Patrimoni dell’Umanità dall’Unesco. Ma per l’architetto paesaggista e fondatore di Arte Sella, Enrico Ferrari, secondo dei relatori intervenuti, “se in passato il reticolo del sacro nel territorio dolomitico era molto importante, ora è stato fortemente alterato in molti luoghi. I pianificatori oggi spesso non tengono conto della centralità che il sacro possiede per le nostre comunità. La Chiesa – prosegue Ferrari – ha perso il ruolo di predominanza e di sacralità. È diventato uno qualunque degli elementi del paesaggio, compromettendo la sacralità del territorio. Per un restauro del paesaggio e per una sua riqualificazione bisogna ora partire da azioni a breve termine, ridando dignità ai luoghi di culto”.

Posizione condivisa anche da Ugo Morelli, docente di Psicologia del Lavoro all’università Ca’ Foscari di Venezia e presidente del Comitato scientifico di STEP, la Scuola per il governo del Territorio e del Paesaggio istituita tre anni fa dalla Provincia autonoma di Trento. “L’uomo deve ritrovare la consapevolezza che prima aveva della sua opera di trasformazione del paesaggio. Al centro di tutto va messa la vivibilità. Pensiamo troppo spesso che la nostra vivibilità possa andare contro natura. Le nuove generazioni si devono misurare con questa realtà e devono assumersi l’impegno di deporre la presunta primazia della specie umana. Dobbiamo riconoscere che siamo solo una parte del tutto. Altrimenti esisterà un futuro per il pianeta Terra. Ma tale futuro non includerà la presenza umana”.