Magone – quella tristezza che non va né su né giù e blocca il respiro – è una parola utilizzata soprattutto nel nord Italia che ha trovato ospitalità nei libri di Teofilo Folengo e Dario Fo, Giorgio Bassani e Alberto Bevilacqua, Antonio Delfini e Gianni Celati, Pier Vittorio Tondelli e Maurizio Cucchi. Si può accostare allo spleen cantato da Baudelaire, alla litost narrata da Milan Kundera, al fado di José Saramago e alla samba di Vinicius de Moraes, sentimenti che hanno a che fare con il viaggio e con la nostalgia di casa e affondano le radici nei viaggi coatti, per schiavitù o per miseria.

Una prima ricerca. Cominciamo dalla definizione. Vi offro le righe che sono apparse sullo schermo del mio computer dopo una veloce ricerca nel web. Al primo posto il sito Internazionale.it che offre la versione online (e in continua implementazione) del dizionario Nuovo De Mauro. Qui ho trovato una prima definizione, a dire il vero assai scarna. Dobbiamo poi ringraziare la Treccani, che da tempo ha affiancato ai maestosi e poco maneggevoli volumi cartacei un ampio deposito digitale di voci e di lemmi, sia enciclopedici che di vocabolario. Tuttavia, anche la Treccani non è stata prodiga di informazioni, ma dobbiamo accontentarci. Se andiamo a sfogliare l’edizione degli anni Sessanta del Novecento non troviamo la parola magone. Una disattenzione colpevole o, peggio, forse il disprezzo per un vocabolo poco nobile. Ancora oggi si trova solo nel vocabolario e nel volume dei sinonimi e dei contrari. Nei cinque dizionari storici dell’Accademia della Crusca – il primo vide la luce nel 1612 e l’ultimo fu aggiornato nel 1923 – la parola magone non esiste come lemma autonomo. Lo si trova invece nell’ottocentesco dizionario del Tommaseo, ma solo all’interno dell’ampia voce dedicata alla gola. Scelta giusta, ma un poco limitativa.  Perché questo scansare una parola conosciuta e utilizzata in molte parti d’Italia? Forse nei secoli passati non la utilizzava nessuno? O era ritenuta volgare e, ancora peggio, dialettale? Oggi, il dizionario Treccani scrive che è parola regionale, espressione ambigua, perché è vero che gli emiliani la considerano una parola del loro dizionario personale, sia in senso storico che geografico, ma non è affatto vero che sia conosciuta e usata solo in quel territorio. Quindi, di quale regione si tratta?

ROBERTO FRANCHINI, giornalista, scrittore e saggista, è stato direttore dell’Agenzia di informazione e comunicazione della Regione Emilia-Romagna, presidente della Fondazione Collegio San Carlo di Modena e del Festival filosofia. Di recente ha pubblicato Il secolo dell’orso (Bompiani), Prigioniero degli altipiani (La nave di Teseo) e L’Ultima nota. Musica e musicisti nei lager nazisti (Marietti 1820).

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