Di Paolo Vittoria, Archeologia di un’educazione. Pagine 92, edito da BIBLIOTHEKA

Svogliato e mancino, più volte rimandato e bocciato, il somaro della classe sceglie per sé sempre l’ultimissimo banco, proprio all’angolo dove le due pareti possono sorreggere meglio il collo, l’ideale per assopirsi. Reclutato senza averlo chiesto da una scuola che non riesce in alcun modo ad accendere in lui la minima curiosità, e – come spesso accade – dato per irrimediabilmente perso, il ciuco è però destinato a cambiare pelle, proprio come il Pinocchio di Collodi.


Nella sua vita, infatti, qualcosa è destinato a cambiare, grazie all’incontro con un vero professore e alcuni insospettabili maestri. L’asino si sperimenta come educatore a Napoli, si trasferisce per un lungo periodo in Brasile, supera tutti gli esami per diventare docente universitario, insegna Pedagogia a Rio de Janeiro e diventa uno tra i maggiori esperti internazionali del pensiero di Paulo Freire, con libri tradotti in molte lingue, e rientra a Napoli per insegnare all’Università Federico II.


Il libro L’asino mancino. Archeologia di un’educazione, in libreria il 10 maggio per le edizioni Bibliotheka (pagine 92, 16 euro) è una questa specie di Diario di scuola alla Pennac, capace di alternare serietà e leggerezza, ironia e politica.

 L’autore ripercorre la propria storia, che è anche la fotografia impietosa e lucidissima dell’attuale modello di scuola, ossessionata dal mercato, dalla tecnologia, dall’ideologia del merito e dalla retorica dell’eccellenza. Una scuola che porta spesso i ragazzi e vivere ansie e frustrazioni e si limita a diagnosticare e certificare deficit di attenzione. Una scuola che non sospetta minimamente che il ragazzo dell’ultimo banco possa un giorno sedere in cattedra e prendere la parola.


Tra i maggiori studiosi di Paulo Freire a livello internazionale, Paolo Vittoria è docente di Pedagogia generale e sociale all’Università di Napoli Federico II.

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