Il teatro ritorna a vivere. All’Argentina si riapre con Kafka: produzione diretta da Giorgio Barberio Corsetti, in scena dal 3 maggio.

La Metamorfosi di Kafka, un classico della modernità, dà il via a quella che si spera sia una rinascita per tutto il Paese. Interpretato da Michelangelo Dalisi (Gregorio Samsa), Roberto Rustioni (Il Padre), Sara Putignano (La Madre), Anna Chiara Colombo (La Sorella Rita), Giovanni ProsperiFrancesca Astrei e Dario Caccuri, esplora in maniera tragica e comica l’isolamento, la perdita di contatti, la patologia della depressione determinata dall’alienazione e dall’autoannullamento.

Michelangelo Dalisi

Ottima l’interpretazione di Michelangelo Dalisi. L’attenta fisicità con la quale porta in scena l’alter ego di Kafka, Gregorio, disegna davanti agli occhi dello spettatore una metamorfosi che si percepisce a tal punto da sembrare reale. Pare quasi di vederle quelle zampette, quel dorso a scaglie, la corazza sulla schiena. Si, ci ha emozionato Dalisi. Forse perché nel suo muoversi sulla scena, nella stanza di Gregor, sposta dentro di noi qualcosa che è rimasto paralizzato nella pandemia e che fa sempre male: le relazioni umane, familiari.

Nei racconti di Kafka siamo allenati alla brutalità fisica e psicologica, alla conflittualità genitori-figli, a personaggi in preda dell’angoscia esistenziale e di trasformazioni strane. Ma vederlo a teatro è altra cosa, coinvolge i corpi di chi è in scena e di chi è fuori dalla scena e racconta una trasformazione fisica che impatta sensi e linguaggio.

È una allegoria della vita, si. Di una vita che si svolge scenograficamente in due stanze, al di qua e al di là della porta della camera di Gregorio. Un limite che in questa pandemia abbiamo tutti sperimentato. Due stanze che, se prima della pandemia potevano dare il senso di claustrofobia, oggi per tutti noi rappresentano un pezzo di vita personale: l’isolamento, anche all’interno della propria famiglia, l’incomunicabilità. Nella sua metamorfosi, Gregorio perde non solo l’aspetto umano ma anche la voce.

Regge, in qualche modo accetta la propria trasformazione, fino a quando sente le cure della sorella, unico filo affettivo al quale l’insetto si può aggrappare per mantenere un contatto con l’umano. Ma quando sente sfilacciarsi anche questo ultimo filo, quando avverte di essere diventato un peso anche per la sorella, Gregorio cede, si lascia andare. La percezione di respingimento che gli arriva dalla sua famiglia a quel punto è totale. Quella famiglia che non ha mai compreso i sacrifici di Gregor uomo impegnato, per amore della sua famiglia, in un lavoro che non voleva fare, il commesso viaggiatore, e che avrebbe lasciato appena estinto il debito del padre è quella stessa famiglia che ora non comprende che dentro quel corpo di insetto c’è il loro figlio, il loro fratello, con tutti i suoi pensieri e sentimenti da uomo.

Tant’è che quando viene chiamata una donna delle pulizie, la sua estraneità a Gregorio sembra pari a quella dei suoi familiari. Ciechi prima e ciechi dopo. Tanto ciechi da lanciarsi in battute fuori luogo nel tentativo di ammiccare ad una ironia amara che non fa sorridere. L’unico che inizia a vedere, nella sua metamorfosi, è proprio Gregorio. E infatti, nel momento stesso in cui prende atto della realtà che lo circonda, inizia a cedere. Ha avuto la forza di accettare il proprio aspetto animalesco, ma non può reggere la non accettazione, il sentirsi un peso. Man mano che la sua stanza diventa la camera dei rifiuti, Gregorio, rifiuto tra i rifiuti, si arrende.

Siamo lieti di aver scelto La metamorfosi come primo spettacolo dopo Covid, lo abbiamo seguito e partecipato con l’emozione di una lacrima di fronte ad un Gregor che si lascia andare alla morte, che rinuncia a lottare. Resta una domanda: come sarebbe stato lo spettacolo raccontato in prima persona e non in terza?

Anna Maria De Luca

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