Chiunque abbia avuto a che fare, in modo diretto o indiretto, con le droghe sa che viaggio complesso diventi la vita e quando sia difficile venirne a capo. Susanna Polloni usa la scrittura per venirne a capo. Ci porta a spasso tra i paesaggi della sua anima, tra le salite impervie, le discese ripide, le valli di smarrimento ma anche di divertimento che ha attraversato nei suoi anni Ottanta, quando la cocaina scorreva a fiumi in Italia per distogliere i ragazzi dall’idea di costruire un mondo migliore attraverso la battaglia politica e sociale. Per trovare l’Eden non era necessario combattere per le strade, bastava ingoiare qualcosa. Semplice.

Un racconto molto intellettualmente onesto che racconta tutto senza risparmiarsi nulla: “Fu allora che cominciai a bere, fumare spinelli e a inghiottire tutto quello che mi passava per le mani. Unicamente per divertimento”. Dai festini da tredicenne alla violazione del suo diario segreto, dal super controllo della madre al trasferimento al paesino della nonna alle fughe in giro per l’Italia e l’Europa, Susanna arriva ad un punto di non ritorno: un bad trip che le cambia la vita. E la porta di fronte alla paura di impazzire. “Non avrei mai accettato la pazzia, neanche per non soffrire più. Preferivo soffrire ma continuare a combattere. Tranne le prime settimane, ho sempre lasciato trasparire di poco per non dire niente della mia “malattia” . Nessuno si accorse, né allora è né in seguito, di ciò che mi stava accadendo: né a casa, né a scuola, né gli amici. Ero convinta che comunque avrei preferito morire piuttosto che perdere la ragione. In quel periodo ricominciai a pregare, non lo facevo da quando ero bambina. Chiedevo Dio di farmi morire piuttosto che farmi precipitare nel nulla”.

Susanna inizia così a vedere la sua vita dall’esterno ma senza riuscire a rientrarci, teme fortemente che la sua mente si sgretoli. Inizia così il desiderio di altro. Ritorna a scuola, poi in una associazione di cui diventa direttrice, apre una nuova sede a Verona, si sposa, ha cinque figli, si laurea, fa il dottorato, lavora nelle università ma nel momento in cui deve fare il concorso per la carriera universitaria decide di scegliere di dedicare il suo tempo ai figli piuttosto che ad un sistema malato che porta solo a lavori precari ed a concorsi staffetta fatti per esaurirsi da soli i pochi anni.

Ma davvero si cambia? “In realtà sono profondamente convinta che le persone non cambino”. Infatti il libro inizia con un interrogativo: “A chi può interessare la mia storia?”.

A molti. Ha interessato Renato Curcio, nel lontano ’95, che l’ha pubblicato con la casa editrice Sendibili alle foglie. Ed ha interessato nel 2021 l’editore Sandro Teti quando casualmente incontrò il libro e ne fu colpito. Si, a molti interessa questo libro perché è la storia di una donna che però racconta anche un po’ la storia di tutti noi, dell’incidente che ti cambia la vita anche se nessuno se ne accorge tranne te, della vita che vedi andare via ma poi in qualche modo ritorna e di te che, non sai come, riesci a ritornarci dentro nonostante ti eri ormai convinto che potevi solo camminarci accanto. Invece ce la si fa. Ci si rituffa dentro. Ognuno a proprio modo, ognuno con la propria storia e la propria capacità di essere araba fenice. Ed è per questo che Strade acide non può essere definito un’autobiografia destinata a chi ha o ha avuto esperienze con la droga o a chi vuole capirle: è un libro per tutti perché è un moderno romanzo di formazione.

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