In redazione arrivano ogni giorno tanti libri da recensire, ma erano anni che non sentivamo l’esigenza di sottolineare un testo. “Russofobia” ci ha portato a farlo: questo è un libro non solo da rileggere più volte, ma da studiare, da capire, sfogliare e risfogliare. Ricostruisce un sentimento complesso, il pregiudizio occidentale nei confronti della Russia e, con esso, l’intera storia del mondo così come non si è mai vista nei libri di testo che tutti abbiamo studiato a scuola.

Il libro, pubblicato dall’editore Sandro Teti, sviscera un argomento tabù, analizzato da ogni punto di vista, e dimostra come le obiezioni antirusse siano spesso svincolate dai fatti e dalle azioni della Russia ma ormai profondamente radicate nell’inconscio collettivo, spiega quanto siano abili le manovre di scambiare l’effetto per la causa (basti pensare alla strumentalizzazione dei fatti di Beslan nel 2004, anno in cui in Russia si verificarono una molteplicità di attentati). Un fenomeno che ha prima di tutto radici nella mente di chi osserva: asiatici, africani, arabi, sudamericani, cinesi e giapponesi non sono mai stati russofobi. Non sono mai stati russofili gli Stati Uniti? Si certo, per quattro anni, dall’estate del 1941 all’estate del 1945, quando si trattava di sconfiggere la Germania nazista e il Giappone. “Come mostrato dalla sordida invenzione delle presunte armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, volta a giustificare l’invasione dell’Iraq nel 2003, l’Occidente non si tira indietro quando si tratta di manipolare la realtà dei fatti per raggiungere i propri fini”.

Il libro è stato scritto da Guy Mettan, esperto di geopolitica della Russia, nonché fondatore e direttore del club svizzero della stampa. Quattrocento pagine per capire ciò che di solito sfugge, le omissioni della storia, le mistificazioni arrivate fino a noi, per esporre le origini storiche, religiose, ideologiche e geopolitiche dell’odio verso la Russia nel corso di tredici secoli, da Carlo Magno alla russofobia contemporanea. Quattrocento pagine per dimostrare che “tutta la storia dell’Europa e della Russia andrebbe ripresa in esame se si vuole ricostruire una relazione sana, fondata sull’equilibrio e sul rispetto tra le due parti della cristianità, ma anche riunire le due componenti dell’Europa, i 28 Paesi, e la Russia. E’ solo a questa condizione che l’Europa potrebbe rivivere quel tempo felice in cui un re di Francia andava a cercare la sua regina in Russia”.

La verità è che non ci facciamo mai abbastanza domande quando studiamo la storia nelle scuole e nelle università. Il libro solleva interrogativi profondi: cosa ne sarebbe stato dell’Europa se Bisanzio non avesse contenuto per secoli l’avanzata di Arabi e Turchi? L’Europa medievale si è ricostruita politicamente e culturalmente mentre la metà meridionale della Russia veniva ridotta in schiavitù dai Mongoli e la metà settentrionale si logorava con operazioni di guerriglia inframezzate da trattati di pace, mentre i Bizantini si battevano contro gli ottomani. Ma se Bisanzio e i Russi non avessero fatto da baluardo contro i popoli dell’Islam non sarebbe stata la sola Santa Sofia a venire a convertita in moschea ma tutte le cattedrali d’Europa. E se Bisanzio non avesse fatto da intermediario tra Oriente e Occidente, grazie alle strutture portuali e commerciali messe a disposizione dai veneziani e dai genovesi, i tesori della cultura orientale araba non sarebbero mai giunti in Europa. Bisanzio è stata il ponte culturale tra due mondi, ha portato i preziosi manoscritti di Alessandria e di Antiochia nei nostri chiostri medievali, nelle biblioteche delle chiese. Non è un caso se il Rinascimento in Italia si sia avuto dopo la presa di Costantinopoli: una delle più grandi omissioni storiche, ricostruita in questo libro, è che senza Bisanzio non ci sarebbe potuto essere nessun Rinascimento italiano e nessuna Europa cristiana.

Altra mistificazione: lo scisma d’Oriente non fu mai scisma d’Oriente. Fu scisma d’Occidente. Dopo la caduta di Roma nel 476, Costantinopoli diventò la città più prospera del mondo civile mentre Roma ed Alessandria furono declassate al secondo posto, malgrado la presenza del Papa a Roma. Quel che accadde ci è stato raccontato mille volte ma mai cosi: nell’VIII secolo, dopo la vittoria di Carlo Martello sugli arabi nel 732, i carolingi diventarono la principale potenza dell’Occidente europeo e puntarono a restaurare l’Impero romano d’Occidente usando in ogni modo il proprio soft power: imposero nel Credo il “Filioque”. Come? Carlo Magno assoldò un monaco inglese, Alcuino, che convinse i vescovi ad adottare il nuovo Credo, diverso da quello condiviso dai cinque patriarchi di Gerusalemme, Antiochia, Alessandria, Costantinopoli e Roma. Il papa era primus inter pares, secondo la formula di San Pietro: non poteva decidere per tutti i patriarchi, ma solo convocare e presiedere i concili. Carlo Magno si fece incoronare in chiesa il giorno di Natale dell’anno 800, in seguito ad una trattativa con il papa che impose il Filioque nel Credo. Non furono quindi i patriarchi d’Oriente ad allontanarsi dal Credo ma quello di Roma, per questo fu scisma d’Occidente. Una imposizione che si aggiunse al fatto che greci e cristiani d’Oriente non potevano dimenticare il tradimento della quarta crociata dirottata su Costantinopoli nel 1203 che ebbe come esito l’assedio e la presa della città. Il libro paragona questo dirottamento a quello che la destra americana realizzò nel 2013 convincendo il presidente George Bush alla crociata contro Bin Laden.

Dopo aver analizzato le ragioni della russofobia di francesi, tedeschi, inglesi ed americani – russofobia diventata un modello di analisi, una comoda coperta – il libro procede raccontando come l’espansionismo di cui si accusa la Russia appartenga in realtà ad altri: tra il 1815 e il 1900 l’impero britannico si era ingrandito di venti volte verso l’Africa e l’Indocina, il regno del Belgio in Congo, gli Stati Uniti verso ovest massacrando gli indiani. La Russia si era allargata in Bessarabia, nel Caucaso, in Turkestan e in Manciuria ma il rapporto tra il tasso di espansione territoriale dell’Occidente e quello della Russia era di 1 a 100. Il libro indaga poi come la storia della seconda guerra mondiale sia stata riscritta in modo da screditare la Russia, l’arte di imputare i crimini del comunismo ai soli russi (ma le guardie dei campi di sterminio degli ebrei dell’Est, Treblinka, Sobibor o Belzec erano per la gran parte ucraini e lituani), le dimenticate origini georgiane di Stalin, il non riconoscimento del ruolo dei sovietici nella caduta del nazismo (lo sbarco alleato in Normandia il 6 giugno 1944 riuscì grazie al sacrificio di decine di migliaia di soldati di Zukon nell’operazione Bagration per bloccare le truppe tedesche). E poi ancora, come il cinema sia stato braccio armato del soft power americano antirusso per finire all’analisi della neolingua antirussa, alle distorsioni semiotiche, semantiche e affettive che hanno fatto della Russia l’erede del sistema sovietico fino all’analisi della costruzione dello zar cattivo, da Ivan Il Terribile a Putin, al mito della Russia aggressiva.

In questo momento storico in cui il solo voler comprendere le ragioni della Russia in Ucraina viene attaccato come errore imperdonabile, in cui non si può dire che forse gli ucraini orientali hanno lo stesso diritto di rivendicare la propria indipendenza che avevano gli slovacchi della Cecoslovacchia nel 1993, questo libro è assolutamente da leggere. Per capire. Per far si che qualunque idea si abbia, sia storicamente fondata e non solo frutto di mistificazioni consolidate.

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