Lei è Veronica Rivolta ed è bravissima. Da sola, tiene la scena al Teatro Spazio 18b, in uno spettacolo scritto da Federico Malvaldi sulla base delle lettere di Camille Claudel, grande scultrice che sognava di lavorare nello studio dell’illustre Rodin. All’epoca, le donne non potevano fare le scultrici e neanche indossare pantaloni o abiti comodi per destreggiarsi tra marmi e gessi. Con l’aiuto del padre, e grazie al proprio talento e determinazione, Camille riesce a realizzare il suo sogno: viena assunta come apprendista da Rodin. E finisce con l’innamorarsi del suo maestro, di 24 anni più grande di lei. In questa esplosione di sentimenti, Camille produce dei capolavori assoluti: SakountalaLa Valse, il busto di Rodin, Clotho e soprattutto l’Age Mûr.

Lo spettacolo ha debuttato il 7 marzo. Andate a vederlo, è in scena fino al 17 marzo. Con la regia di Sara Younes e Federico Malvaldi (luci di Federico Malvaldi, costume di Marta Montanelli, una produzione Remuda Teatro) Veronica è Camille, una donna che ci fa emozionare con la sua storia: una storia di amore tradito, un amore per il quale ha perso tutto. Nel corso della relazione tormentata e dolorosa con Rodin, Camille porta avanti il proprio lavoro, nonostante il sistema estremamente oppositivo e maschilista che riduce tutto il suo talento a un semplice riflesso del collega ben più famoso. L’unica soluzione è l’emancipazione: la scultrice lotta con tutta se stessa per l’affermazione e il riconoscimento del proprio genio. Ma la sua libertà viene punita con la reclusione in manicomio per volontà della sua stessa famiglia. Qui abbandona definitivamente la scultura: nei trent’anni successivi non produrrà più nulla. Continuerà però a scrivere, senza mai ricevere risposte, centinaia di lettere inascoltate meticolosamente raccolte e occultate dai familiari.

In una lettera del 1915 Camille scrive: “Mio caro Paul, ho scritto molte volte alla mamma, a Parigi, a Villeneuve, senza riuscire a ottenere una parola di risposta. E anche tu, che sei venuto a trovarmi alla fine di maggio e ti avevo fatto promettere di occuparti di me e di non lasciarmi in un tale abbandono. Com’è possibile che da allora tu non mi abbia scritto una sola volta e non sia più tornato a trovarmi? Credi che mi diverta a passare così i mesi, gli anni, senza nessuna notizia, senza nessuna speranza! Da dove viene tale ferocia? Come fate a voltarvi dall’altra parte? Vorrei proprio saperlo“. Mentre la sorella avalla il ricovero per aggiudicarsi l’eredità, il fratello cerca, senza neanche andarla a trovare, di farle avere un trattamento migliore, pagando di più. Soldi buttati, scrive Camille al fratello, la “prima classe” nel manicomio non è migliore della terza, si mangia tutte ammucchiate per evitare le correnti di aria, si dorme al freddo su una rete di ferro, il cibo è acqua sporca. Ma come è finita Camille, donna straordinaria, scultrice in un’epoca in cui alle donne non era possibile esserlo, in un manicomio?

L’attrice scolpisce l’aria con le mani, ed ogni colpo è un tonfo al cuore per chi la guarda. Intensa nella mimica cosi come nella narrazione, Veronica è davvero Camille, la fatica di trovare posto nel mondo maschilista dell’arte (la prassi prevedeva i discepoli del maestro dovevano occuparsi solo di alcune parti delle opere), la follia per un amore in cui si è giocata tutta, non ricambiato fino in fondo. Veronica davanti ai nostri occhi ritrae la storia di ognuna di noi, la storia di chi ha creduto in un uomo. Rodin, che pure ha raccontato il suo amore verso Camille in numerosi disegni che si trovano presso il Museo Rodin di Parigi, in realtà non la sposerà mai. Lei prova a farlo ingelosire con Debussy, che la considerava un’artista straordinaria, ma la relazione termina appena Rodin decide di riprendersela.

Negli anni 1892-93 il rapporto tra Rodin e Camille entra in crisi: lei non ce la fa più a proseguire in un rapporto senza futuro. Tredici anni passati ad aspettarlo – Camille aveva vent’anni quando lo aveva conosciuto- non hanno dato nessun riusultato, se non compromessi, ansie, tristezze e risentimenti accumulati. E Camille si ritrova sola a misurarsi con un mondo ostile nei confronti di una donna che fa un mestiere da uomo e che ha avuto una relazione libera con un uomo molto più grande, condiviso con un’altra.

Infatti, nonostante il 12 ottobre 1886, Rodin avesse una sorta di contratto –  “Dopo l’esposizione partiremo nel mese di maggio per l’Italia e vi rimarremo almeno sei mesi, e sarà l’inizio di un legame indissolubile dopo il quale Mlle Camille diventerà mia moglie” – in realtà continuava a barcamenarsi tra la passione per lei e la tranquilla Rose Beuret che non lascerà mai e che sposerà nel 1917. Ma alla base della delusione con Rodin, c’è la delusione datale da sua madre: fu proprio lei a farla chiudere in manicomio, aiutata dal fratello, nonostante il parere negativo dei medici curanti che non ritenevano necessario un internamento per i problemi psichici veri o presunti che presentava la ragazza.

“Mia madre e mia sorella hanno dato ordine di tenermi isolata nel modo più completo, alcune delle mie lettere non partono e alcune visite non arrivano. Oltretutto mia sorella si è impossessata della mia eredità e ci tiene molto al fatto che io non esca mai di prigione. Vi prego di non scrivermi qui e di non dire che vi ho scritto, perché vi sto scrivendo in segreto contro i regolamenti dello stabilimento e se si venisse a sapere mi troverei nei guai!”, scrive Camille al dottore del manicomio. Rodin ha scelto di non stare con lei ma, durante il suo internamento non ha mai smesso di inviare un aiuto economico in forma anonima, e dedica alle opere di Camille una sala nella sua casa/museo.

“La Donna di Pietra” dà voce all’anima burrascosa di una donna che è stata costretta a vivere una vita di sacrifici e soprusi ma che, nonostante le fatiche e i tormenti, è stata anche capace di donare al mondo uno spiraglio di meraviglia, quella di un’arte senza eguali, in grado di elevarsi tra i più grandi di sempre.

Camille Claudel morì nel manicomio di Montfavet, il 19 ottobre 1943 alle 2 del mattino, all’età di 78 anni, di fame e di stenti (secondo Max Lafont, tra il 1940 e il 1944, 40.000 pazienti morirono di fame negli ospedali psichiatrici di Francia). Né la sua famiglia, né suo fratello Paul si presentarono al funerale. I suoi resti furono poi trasferiti in una fossa comune poiché il suo corpo non fu mai reclamato dai parenti.

LA DONNA DI PIETRA

di Federico Malvaldi

con Veronica Rivolta

Dal 7 al 17 marzo

Teatro Spazio 18b-Roma

ORARIO SPETTACOLI: dal giovedì al sabato ore 20.30, domenica ore 18.00

TEATRO SPAZIO 18Bvia Rosa Raimondi Garibaldi 18B, 00145 ROMA (zona Garbatella)

PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA TEL 06.92594210 WAPP 333.3305794

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