È impossibile dare una definizione rigorosa del Sahel, dei suoi limiti e di ciò che lo caratterizza: si tratta di una nozione del tutto arbitraria che non esisteva prima dell’arrivo degli europei in Africa e che deve la sua esistenza solo al consolidamento a cui è stata sottoposta da alcuni studiosi coloniali e, successivamente, dagli intellettuali post coloniali. In questo bellissimo libro, “L’invenzione del Sahel”, Jean-Loup Amselle, tra i massimi antropologi contemporanei e Direttore di Studi all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, spiega come il Sahel sia una categoria geografica associata ad una questione socio-culturale e politica del tutto arbitraria (Meltemi editore).

Il Sahel è cruciale per le dinamiche internazionali. Noto alle cronache per essere una delle regioni più instabili del mondo, è luogo di interazione tra popolazioni arabe, islamiche, popolazioni nomadi, ed è dal 2013 teatro di conflitti interetnici e religiosi, a partire dalla ribellione separatista scoppiata a nord del Mali dove i Tuareg rivendicano uno Stato indipendente, lo Stato di Azawad. La situazione è complessa dato che i Tuareg sono militarmente preparati e che dall’altra parte ci sono i francesi, a sistegno del governo centrale maliano.

Il Sahel invenzione coloniale

Il Sahel, secondo l’antropologo, nasce esclusivamente all’interno del contesto coloniale francese. La parola Sahel fu infatti utilizzata per la prima volta da un botanico francese nel 1899 per misurare la piovosità del territorio e poi usata dai colonizzatori. Dove si trova il Sahel? E’il territorio un tempo attraversato dagli imperi Ghana, Mali e Songhai, che mettevano in comunicazione l’Africa subsahariana con le coste del Mediterraneo. Dal punto di vista geografico si estende per 8.500 km tra l’oceano Atlantico e il Mar Rosso, è popolato da più di 35 gruppi etnici stanziati in modo transazionale per via di come furono tracciati i confini nel processo di decolonizzazione. E’ un territorio ricco di miniere, in particolare di oro e di uranio, che attirano le attenzioni internazionali, alle prese con la desertificazione: il deserto si sta espandendo di quasi 50 km l’anno e le temperature stanno crescendo al ritmo di una volta e mezzo superiore al resto del mondo.

Una cesura storica causa dei problemi attuali

L’Africa, così come la conosciamo oggi, spiega Amsel, è il prodotto della circumnavigazione operata dai Portoghesi alla fine del XV secolo: fu Vasco de Gama a circumnavigare per primo l’Africa doppiando, sull’ estremo meridionale del Capo di Buona Speranza: con il suo viaggio fu il primo a delimitare il continente nei suoi confini attuali. Prima di lui l’Africa era l’Africa romana e del terzo secolo dopo Cristo che si estendeva dall’oceano Atlantico fino alla Libia, tanto che Plinio Il Vecchio diceva che “c’è sempre qualcosa di nuovo che arriva dall’Africa”.

I colonizzatori europei hanno poi diviso il continente in aree secondo la latitudine: l’Africa del nord o Maghreb (significa “occidente” in arabo), il Sarah e l’Africa nera o subsahariana. Sulle rotte commerciali di Timbuctù, Djenné e Kong viaggiavano le carovane che trasportavano l’oro in Europa e gli schiavi in direzione del mondo arabo-musulmano. A questo asse Nord-Sud, con la colonizzazione francese del continente africano, se ne sovrappose un altro da Oriente a Occidente.

Secondo Jean-Loup Amselle, la colonizzazione francese determinò una cesura storica, politica e culturale dividendo in categorie ed è proprio a questa cesura che vanno imputati i problemi che interessano oggi il Sahel e tutto il continente africano. Amselle suggerisce che è stata proprio questa divisione tra pastori nomadi e agricoltori sedentari, tra società produttrici e predatrici, a creare un confine di civiltà che persiste nei giorni nostri. Questo confine, che combina elementi di storia, natura e morale, ha contribuito a plasmare la visione politica e geopolitica del Sahel e dell’intero continente africano.

Secondo gli studiosi francesi del XX secolo, il Sahel è una zona ecoclimatica che attraversa tutta l’Africa centrale a nord dell’equatore, tra il deserto vero e proprio cioè il Sahara, la savana di tipo sudanese e la fascia che va dall’Atlantico al Mar Rosso: zona di transizione e di contatto geografico ed etnico tra il Sahara e la savana, tra i popoli bianchi, i popoli rossi, i Seul e i popoli neri, tra sedentari e nomadi.

Sedentarietà e nomadismo

La sedentarietà non deve essere considerata come uno schema spaziale rigido: nel Sahara, così come nelle regioni periferiche, sono proprio le relazioni fra clan a costituire il quadro per l’esercizio delle funzioni politiche: la risorsa è la via di comunicazione, il potere appartiene a chi controlla il movimento di persone e merci tra i due sponde del deserto. I vari imperi che si sono succeduti in quest’area avevano un senso dello spazio che è stato molto studiato dalla nomadologia. Le popolazioni nomadi che vi abitano e si muovono lungo la cerniera nord sud hanno attraversato l’Africa occidentale per secoli: una condizione che non è certo indipendente dall’attuale crisi saeliana, dal ritorno, nel Mali, della sua guardia Pretoria.

Secondo questa concezione, la fascia al nord dipende dai Tuareg, ai quali le autorità di Bamako devono fare notevoli concessioni, la pace al centro dipende dai Peul che minacciano il blocco nero e non contaminato dall’Islam: secondo questa visione, il conflitto del Sahel è quindi una guerra etnica combattuta nei termini di una problematica ereditata. Lagrange non distingue diverse etnie all’interno delle popolazioni, per stigmatizzarne alcune e proteggerne altre: ha invece l’obiettivo di costruire una cultura specificamente ssaheliana per spiegare alcuni comportamenti criminali, un tasso di insuccesso scolastico superiore a quello dei bianchi o dei nordafricani.

Le ragioni sarebbero in gran parte di natura culturale: un elevato tasso di fertilità, la posizione dominante di padri troppo autoritari e l’incapacità delle madri di aiutare i figli nel percorso scolastico, la poligamia dei padri, la precarietà delle case, l’assenza di diritti sociali: tutti questi fattori sono stati ampiamente contestati dai ricercatori di scienze sociali che hanno sottolineato la schematicità di tali affermazioni.

Letteratura e cinema

Il secondo capitolo traccia un’ampia panoramica sulla letteratura contemporanea, dai vincitori del premio Goncourt Mohamed Mbougar Sarr a Djaili Amadou Amal a Marianna Ba a Souleyman Bachir Diagne, Seydou Badian, David Diop, Felwine Sarr e dei registi come Abderrahmane Sissako Robert Guediguian, Fassery Kamissoko.

Nel terzo capitolo, interessante l’analisi del pregiudizio positivo sugli uomini blu del deserto, i bianchi tuareg, considerati come la popolazione tipica del Sahara rispetto al blocco rosso dei peul ed alle popolazioni meridionali nere del Senegal e del Burkina Faso, ritenute adoratrici di feticci e poco islamizzate.

Un libro prezioso per comprendere il Sahel e le motivazioni della sua instabilità: basti pensare che nei Paesi che geopoliticamente lo compongono (Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad) si sono registrati ben cinque colpi di Stato negli ultimi tre anni e che nel Sahel si intrecciano e si accavallano gli interessi di Urss, Usa, Cina ed Europa.

Anna Maria De Luca

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