“Queer Negro Blues” è un libro importantissimo, edito da Marco Saya, che ci restituisce, in italiano, il ritmo Jazz e la struttura Blues dei lavori di Langston Hughes nei primi venti anni del Novecento. Di lui ci sono due antologie in Italia, la prima uscita nel ’48 e la seconda nel 1979, ma questo è il primo libro che difende la complessità di tradurre la forma Jazz, la sua velocità, il suo ritmo, la sua musica restituite, nella traduzione in italiano, nella loro forza e vivacità strumentale originale, nel ritmo sincopato, nel fraseggio veloce attraverso la lunghezza del verso e le parole scelte da Langston Hughes. Questa attenzione, come spiega il traduttore  Alessandro Brusa, ha portato a rinunciare ad alcune rime ma a mantenere la musicalità attraverso assonanze e richiami sonori. Il libro è una novità anche in relazione ai contenuti: è la prima volta che vengono tradotte in italiano le prime due raccolte di Langston Hughes.

Ballerini Negri

“Me e il mio amore
Abbiamo un po’ di modi,
Un po’ di modi per ballare Charleston!”
Da, da,
Da, da, da!
Un po’ di modi per ballare Charleston!”

Luci soffuse sui tavoli,
Musica allegra
Delinquenti dalla pelle scura
In un cabaret.

Amici bianchi, ridete!
Amici bianchi, pregate!

“Me e il mio amore
Abbiamo un po’ di modi,
Un po’ di modi per ballare Charleston!”

La struttura blues

E non è un caso che sia la casa editrice Saya a intraprendere la traduzione di Hughes: nata nel 2012, si occupa prevalentemente di poesia contemporanea ed ha una linea editoriale che oltre la poesia include la narrativa, saggistica varia e contributi sulla musica jazz. La struttura delle poesie di Langston Hughes rimanda alla tradizione del blues. “Pensare di tradurre certi testi senza rispettare questa struttura implica la perdita dell’unicità della sua scrittura”, commenta il traduttore. In questo caso, le rime interne ma soprattutto quelle a fine verso ci ridanno il senso vero del testo. A differenza delle due antologie pubblicate nel ’48 e nel ’79, che si concentravano soprattutto sul portato politico dei versi, “Queer negro Blues”, l’eccezionalità di questo libro sta nel valorizzare, per la prima volta, l’aspetto musicale della poesia, non come fattore unicamente estetico ma per il suo portato rivoluzionario.

Basta guardare la poesia americana degli ultimi 50 anni per capirne le contiguità con le espressioni musicali della contemporaneità, con i ritmi hip hop degli anni 90 che si contaminano con la scrittura poetica o con la musica folk: basti pensare a Bob Dylan, Leonard Cohen, alla Beat Generation degli anni 40 per il flusso di coscienza che sembra rispecchiare certe modalità di improvvisazione a solo. Per questo, per i suoi ritmi jazz nella poesia, Langston Hughes è considerato uno dei padri della poesia americana contemporanea.

Lungo Viaggio

Il mare è desolata distesa d’onde,
Un deserto d’acqua.
Ci tuffiamo e ci immergiamo,
Ci innalziamo e barcolliamo,
Ci nascondiamo e veniamo nascosti
Nel mare.
Giorno, notte,
Notte, giorno,
Il mare è un deserto d’onde,
Una desolata distesa d’acqua.

Lo slang

Una delle maggiori difficoltà in questo testo è stata la traduzione degli slang degli afroamericani dell’epoca per riportare quanto più fedelmente possibile l’espressione in prima persona di personaggi appartenenti alle classi sociali emarginate, alle quali Langston Hughes ha dedicato tutta la sua poetica. Fino agli anni Sessanta, i termini “negro”, “black” e “coloured” venivano utilizzati pressoché come sinonimi, con la specificità che “negro” era il termine più usato e più legato alla razza. Per questo motivo, negli anni Sessanta, negli Stati Uniti, il termine cominciò a essere inteso come discriminatorio e la comunità nera prese ad usarlo anche nei termini di una riappropriazione aggressiva per stigmatizzare il portato razzista della parola. Negli anni Settanta si è fatto largo un maggiore utilizzo del termine Black, soprattutto da parte degli attivisti che si battevano per i diritti degli afroamericani, dai black panther agli slogan dell’epoca come “black power” o “Black is beautiful”. Anche in Italia, negli anni Ottanta, si aprì il dibattito su quali termini utilizzare, nella consapevolezza che i rapporti di potere della maggioranza e delle minoranze passano anche attraverso il linguaggio. Non era possibile quindi tradurre le sfumature del termine, nelle poesie di Langston Hughes, con un solo termine senza operare una semplificazione, un tradimento delle scelte compiute dell’autore.

I primi anni Venti del Novecento

Il decennio di esordio di Langston Hughes fu fondamentale per la storia della letteratura americana: è il tempo della Negro Vogue, della Harlem Renaissance. Langston Hughes, con i suoi viaggi in Africa, Europa, America Latina, Unione Sovietica e Cina fu, insieme ad Ernest Hemingway, uno dei primi vagabondi della letteratura americana. Gli anni Venti erano gli anni in cui “negro” era di moda i bianchi e correvano in massa ad Harlem. periodo che iniziò nel 1921 quando a Broadway andò in cartellone il primo musical composto da un cast completamente di colore, anche se qualcuno lo anticipa al luglio 1919, con la pubblicazione del sonetto di Claude McKay. Secondo altri risalirebbe al 1895, ai discorsi degli afroamericani dopo una serie di vicende giudiziarie e legislative nelle quali sembrava che i neri avessero perso quanto acquisito dopo la guerra civile. Nel 1925, l’antologia New negro da parte di Alan Locke affermò l’identità black anche attraverso le arti: con un certo senso senso dell’umorismo, poeti e scrittori di Harlem attorno alla rivista Fire! si definivano niggerati si una rivoluzione tutt’altro che semplice.

Con la ricerca del linguaggio per liberare la sua gente, Langston Hughes è uomo tra gli uomini: non c’è distanza tra il poeta e il popolo. “Il nostro linguaggio determina come vediamo il mondo”, diceva Wallace Stevens.

Lennox Avenue: mezzanotte

Il ritmo della vita

è un ritmo Jazz,

Tesoro.

Gli dei ridono di noi.

il cuore infranto dell’amore,

quello stanco, stanco cuore nel dolore, sfumature,

sottolineature

Nel rombo dei tram,

Nel suono della pioggia.

Lenox Avenue,

Tesoro.

mezzanotte,

E gli Dei che ridono di noi

Anna Maria De Luca

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