“Mundo perdido” è scritto su un cartello che indica a destra, tra gli immensi alberi della foresta pluviale, mentre una scimmia salta da un ramo all’altro. Siamo in Guatemala, nel cuore dell’antica civiltà Maya. Surreale, magico, antico, di straordinaria ricchezza naturale: un Paese che sta mantenendo forte la propria identità tra città coloniali e piramidi Maya.

foto di Anna Maria De Luca

Partiamo da Tikal  che significa “lugar de las voces de los spiritos”ed in effetti cosi è. La voce degli alberi secolari, degli animali, del vento attraversa questo meraviglioso luogo Patrimonio Unesco dal ’79. Oggi Tikal è un immenso parco nazionale grande 576 chilometri quadrati e lungo 24 chilometri ma fino al collasso del periodo pre-classico, era la potenza politica maggiore di tutta l’area guatemalteca. Una potenza evidente nel codice simbolico delle concezioni cosmiche Maya che permea templi e piramidi nel cuore della jungla: qui già dal 600 a. C. si scolpivano su steli di pietra le mappe del cielo.  Tikal non fu mai distrutta da un esercito o da un invasore: fu semplicemente abbandonata. Per circa mille anni rimase sepolta sotto un intricato strato di vegetazione, fino a quando, nel 1848 i ricercatori Modesto Mendes, Ambrosio Tut ed Eusebio Lara portarono alla luce, nelle vicinanze della città, una stele con geroglifici. Anche in questo si esprime il fascino misterioso di Tikal: templi e piramidi intoccabili in quanto protetti dalla jungla e da metri di terra e foglie che avvolgono ancora oggi le tante costruzioni Maya non ancora portate alla luce.

Seguendo il cartello che indica il Mondo Perduto  –  l’area delle piramidi preclassiche  –  si cammina tra colline a punta che custodiscono nel loro ventre secolari costruzioni Maya. Non è raro qui incontrare turisti in visita al parco cedere all’emozione davanti a tronchi millenari, in un abbraccio silenzioso benedetto dal volo degli uccelli: sintonizzano il proprio respiro con il respiro dell’albero, il proprio battito con il ritmo profondo della natura. Si prosegue sotto i rami dei cedri tropicali, del mogano e  dei famosi ceiba (Ceiba pentandra), alberi consacrati dai Maya. L’albero della vita,  perfetto nel suo equilibrio di rami e foglie che cesellano ombra e sole, sembra attirare i sogni e le speranze che ognuno porta nella testa e nel cuore, camminando nella jungla, in contatto con se stessi e la natura che si fa simbolo. Come il quetzal, il meraviglioso uccello dalle piume colorate venerato dai Maya e dagli Aztechi, ispiratore del mito del serpente piumato e del dio Quetzalcoatl.  Se messo in gabbia, muore poco dopo: per questa sua natura di libertà è il simbolo del Guatemala ed è anche il nome della moneta che dal 1924 ha sostituito il Peso guatemalteco: le sue piume erano considerate talmente preziose da essere usate come moneta di scambio.

Gli impressionanti versi delle scimmie urlatrici cadenzano le pause durante la camminata, nell’improbabile tentativo di scorgerle tra le immense foglie. Esplorare la jungla alla ricerca dei templi Maya risulta meno faticoso del previsto: l’atmosfera, anche se calda, rinfranca lo spirito e alleggerisce il peso dei chilometri. Tra aguti, atelinae,  pavoni, tucani, pappagalli e formiche tagliatrici di foglie scopriamo l’incanto di un tempo che ci avvolge in una spirale di ritmi antichi, di incanti millenari, e che ci conduce nei sedici chilometri quadrati della zona centrale dove si ergevano ben tremila edifici in pietra.

I templi maya di Tikal (foto Anna Maria De Luca)

E ancora più avanti, nel cuore dell’epicentro di Tikal:  la Grande Piazza, un luogo da respirare, tra il Tempio del Grande Giaguaro (detto anche Tempio I, costruito intorno al 700 d. C. è alto 45 metri, articolato in nove settori),  il Tempio delle maschere (noto come Tempio II, o tempio della luna, alto 38 metri su quattro piattaforme cerimoniali sovrapposte), l’Acropolis nord e l’Acropolis centrale.  Ad ovest del Tempio delle Maschere ecco svettare con i suoi 55 metri di altezza, la piramide cerimoniale del “Gran sacerdote” (il Tempio III, dell’810 d. C.) mentre ad ovest della Grande Piazza si erge con i suoi 65 metri di altezza il Tempio del Serpente dalle due teste (tempio IV), la più alta costruzione Maya visibile a Tikal. A sud dell’Acropolis Centrale i 57 metri del Tempio V e, un poco più lontano, il Tempio VI, chiamato Temple of the Inscription.  Certo che infastidisce vedere in un luogo tanto magico turisti in versione pic-nic ma è una immagine che ci serve per riportarci alla realtà del tempo presente.  Per evitarla, meglio cambiare prospettiva e salire con una scala di legno su uno dei templi per ammirare il mistero delle architetture Maya nella jungla, nel silenzio.

foto di Anna Maria De Luca

E’arrivato il momento di lasciare Tikal. Ci dirigiamo dal Dipartimento di Petén a quello di Sololà, diretti ad Atitlan, uno dei laghi più belli al mondo, secondo lo scrittore inglese Aldous Huxley. Attraversiamo paesaggi completamente diversi da quelli che ci hanno avvolto nel parco di Tikal: cambiano le forme, i colori, ma resta forte e ferma la sensazione dell’equilibrio con la natura.

Il parco di Tikal (foto Anna Maria De Luca)

Nella cultura Maya il Nahual è lo spirito di tutto ciò che esiste: dalla nascita ogni persona ne ha uno la cui funzione è quella di mantenere l’equilibrio tra l’umanità e la naturalezza.  La cosmovisione Maya si basa infatti sul rispettare, proteggere e vivere in armonia con tutte le forze della natura, in armonia con madre Terra. 

Atitlan, foto di Anna Maria De Luca

Ad Atitlan sembra che il Nahual abbia vita facile rispetto al suo compito: l’armonia è in ogni cosa. Abitato nei secoli da popolazioni dai nomi biblici  –  Santa Catarina, San Antonio Palopò, San Lucas Tolimàn, Santiago Atitlàn, ecc  –  il lago è disegnato dalle  sagome viola dei tre vulcani Atitlàn, Soliman e San Pedro. Sul lago, San Pedro La Laguna è un villaggio famoso per le scuole di spagnolo e per le cliniche, San Juan La Laguna è rinomato come luogo di ritrovo di pittori ed artisti che hanno stabilito in questo paradiso i propri atelier ma anche come spazio per la medicina naturale e l’artigianato.

Prima di lasciare il Guatemala sono d’obbligo due tappe. La prima + nel Dipartimento di Sacatepequez per scoprire Antigua, città coloniale Patrimonio Unesco dal ’79, famosa per la sua architettura barocca Ispano-americana e per le suggestive chiese antiche.  Ecco la plaza central, la cattedrale di San José, l’Arco de Santa Catalina, la chiesa e il convento dei Cappuccini, ultimo convento femminile della città, opera di Diego de Porres, grande architetto della Antigua Guatemala.

Non lasciate il Guatemala senza aver visto Chichicastenango, nel Dipartimento di Quiché: qui fu ritrovato, nel 1701, il libro sacro della civiltà Maya,  “Popol Vuh”, che racconta le origini del mondo attraverso i miti e le leggende della terra Quiché (K’iche’). A Chichicastenango, tra la piramide del sole e la piramide della luna  –  entrambe trasformate in chiese dai conquistatori spagnoli che ne riconobbero la sacralità ma vollero piegarla alla loro religione  –  si apre una piazza con uno dei mercati indigeni più antichi ed importanti di tutto il Guatemala.

Il mercato, tra la “Chiesa del Sole” e la “Chiesa della Luna” (foto Anna Maria De Luca)

Chichicastenango, il mercato tra le due piramidi diventate chiesa (foto Anna Maria De Luca)

Perdetevi tra i tessuti artigianali coloratissimi, realizzati dalle stesse donne che li vendono e poi fermatevi sulla gradinata di una delle due (ex) piramidi a leggere il Popolo Vuh: è un vero dono del destino, da cogliere con senso di gratitudine nei confronti dei sacerdoti Maya che, rischiando, riuscirono a copiare il testo originale, in modo illegale, usando i caratteri latini.

In questa forma il testo fu scoperto nel Settecento, a  Chichicastenango, dal sacerdote Francisco Ximénez che, invece di bruciarlo, lo tradusse in castigliano.

La discesa al mercato dopo le funzioni religiose (foto Anna Maria De Luca)

Oltre cento anni dopo, nel 1854, fu ritrovato da un abate in uno scaffale della biblioteca dell’Università di San Carlos, a Città del Guatemala, e tradotto in inglese e francese. Sfogliatene le  pagine, soffermatevi sui versi antichi avvertendo il calore del sole emanare dalla sacra gradinata di pietra sotto di voi, lasciate correre l’olfatto tra i profumi dell’antico mercato indigeno e immergetevi in quel dialetto Maya proibito dopo la conquista spagnola: siete nell’anima del Guatemala.

Anna Maria De Luca

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