Un’esperienza formativa che tutte le scuole dovrebbero offrire ai propri studenti
Quando in occasione della Nave dei Libri per Barcellona – impedibile appuntamento ideato e organizzato ogni anno da Sergio Auricchio sulla Grimaldi – ho salito per la prima volta, con gli studenti, le scale che portano al ponte di comando, ho capito che stavo per varcare, con loro, una soglia. Non una soglia di ferro e di cemento, ma qualcosa di più profondo: quella che separa il mondo conosciuto dalla consapevolezza di come il mondo funziona veramente.

Il mare insegna in fretta. Non ha tempo per i nostri dubbi, per le nostre incertezze. E il ponte di comando di una nave Grimaldi è il dove questa lezione diventa concreta, tangibile, quasi violentemente vera.

Ho guardato il capitano alle sue spalle, lo sguardo fisso all’orizzonte come se potesse leggere il futuro nelle onde. Le mani sul timone, leggere ma ferme. Intorno a lui, gli strumenti che guidano una nave di migliaia di tonnellate attraverso il mare: schermi che brillano nella penombra, mappe luminose, comunicazioni radio che arrivano da porto a porto. Tutto comunica con tutto. Tutto è connesso. E in mezzo a questo, un uomo, che con la sua esperienza, il suo istinto, la sua conoscenza, tiene in equilibrio vite, merci, sogni.

Mi è venuto in mente un pensiero strano, proprio lì: quanto è poco quello che sappiamo dei ragazzi che guardano gli influencer, che sognano di diventare famosi sui social, che non sanno ancora che la vera avventura non è in uno schermo, ma qui, davanti a loro, dove le decisioni contano per davvero.
Ho chiesto al secondo ufficiale come era arrivato a questo lavoro. Mi ha guardato con un sorriso che aveva il gusto del sale, del vento, di anni trascorsi a guardare l’oceano cambiare colore. “Ho scoperto che il mondo intero passa di qui,” mi ha detto. “E che tutto ciò che possiedo di forza viene dall’avere imparato a rispettare qualcosa di più grande di me”.

Ecco, forse questo è il vero tesoro che il ponte di comando di una nave regala ai ragazzi. Non un’idea vaga di cosa fare da grandi, ma una comprensione del fatto che scegliere un mestiere significa scegliere un modo di stare al mondo, una responsabilità, una comunità, un rapporto con l’ignoto che ti trasforma giorno dopo giorno.

Durante la traversata ho passato ore a osservare. Osservare il lavoro che non ha niente di glamour, nonostante il fascino che lo circonda. Osservare la concentrazione, la precisione, la necessità di conoscere ogni strumento come se fosse parte del proprio corpo. Ho visto il capitano controllare le rotte, ha i calcoli, le comunicazioni con i porti, gli ordini che devono essere chiari, inequivocabili. Ho visto i giovani marinai che imparano, che fanno domande, che commettono errori e da questi imparano. Ho visto la paura e il coraggio convivere nello stesso momento.

E ho capito che per molti di questi ragazzi che salgono qui per la prima volta, questa esperienza segna una linea nel tempo: prima e dopo. Prima del dubbio vago sul futuro. Dopo la consapevolezza che esiste un mondo dove le cose importano veramente, dove il tuo lavoro non è una parola astratta ma il contatto diretto con l’universo.
Il mare è il luogo dove l’uomo si incontra con la verità. Non c’è finzione sul mare. Le onde non mentono. Il vento non comprende i compromessi. E il ponte di comando di una nave è il cuore pulsante di questa verità.

Quando ho lasciato il ponte al tramonto, con il sole che tingeva l’acqua di rosso e di oro, ho pensato a tutti quei ragazzi che non hanno mai potuto guardare il mondo così: dal centro di esso, dal luogo dove le decisioni si prendono, dove ogni momento ha peso, dove il futuro non è una speranza ma una responsabilità che si prende fra le mani.

Forse, ho pensato, questo è il regalo più grande che possiamo fare ai nostri giovani: non dirgli cosa fare, ma mostrar loro il punto di vista di chi ha scelto, di chi sa che il proprio lavoro tiene insieme il mondo intero.
Il mare continua a insegnare. E chi sale sul ponte di comando una volta, non scende mai veramente.
S.D.M.





