Un libro sorprendente che ci racconta perché una pianta dalle innumerevoli proprietà, usata per millenni in tutto il mondo, da un’ottantina di anni a questa parte è stata condannata alla dannazione, vietata e trasformata in una paura. Il libro di Matteo Mantero è assolutamente da consigliare per capire ciò che nessuno ci ha mai detto.

La marijuana non esisteva fino a poco più di 80 anni fa. È stata inventata a tavolino per rendere illegale la pianta della canapa, la cui diffusione stava mettendo in pericolo gli affari di alcuni potenti imprenditori americani. Il libro racconta che cosa è successo sotto i nostri occhi.

La canapa veniva coltivata già 12.000 anni prima della nascita di Cristo sia come fonte di cibo, sia come fibra per i tessuti.

I cinesi furono i primi a comprenderne il pieno di potenzialità. Secondo una leggenda, fu proprio un ufficiale dell’esercito imperiale cinese ad inventare i primi fogli di carta della storia fatti, appunto, non con gli alberi ma con la canapa.

Solo nel V secolo a. C. la canapa sbarcò in Europa dentro le bisacce di una popolazione nomade, guerriera, originaria della steppa siberiana: gli sciiti. Furono loro a farla conoscere, durante le loro migrazioni, prima ai Greci e poi alle popolazioni europee. Lo dice Erodoto, lo storico greco considerato da Cicerone il padre della storia, che descrive dettagliatamente l’uso tra gli sciiti di inalare il fumo di cannabis per accompagnare il congiunto nell’ultimo viaggio.

Appena arrivata in Europa, i romani compresero l’importanza della coltivazione di canapa e ne riempirono la penisola. Continuando nella storia, le Repubbliche Marinare per mantenere il loro dominio avevano bisogno di molta, moltissima canapa. Gli investimenti più importanti in canapa, in quell’epoca, furono infatti direttamente legati all’espandersi delle Repubbliche Marinare. Ci ritrovammo così, noi italiani, ad essere tra i primi produttori di canapa di qualità al mondo.

Ai primi del Novecento l’Italia era seconda solo alla Russia per quantità di canapa prodotta ma la nostra era di una qualità infinitamente superiore. Anche se sembra veramente incredibile, visto con gli occhi di oggi, il Papa Gregorio XIV, nel 1376, decretò la pena della scomunica per chi osava mandare fuori dallo Stato di Bologna, che era sotto il controllo dello Stato pontificio, canape grezze non lavorate ed accomodate (per non privare di lavoro 12.000 operai impegnati nell’industria canapiera).

La lavorazione della canapa era cosi diventata una sorta di monopolio da difendere. In un certo senso, anche la scoperta dell’America fu merito della canapa. Di cosa erano fatte le vele delle Caravelle? Di canapa. E anche le gomene per l’ancora erano un filato di canapa. Persino le carte di navigazione e i giornali di bordo di Cristoforo Colombo erano fatti in carta di canapa dato che era molto più resistente agli agenti atmosferici e alla salsedine rispetto alla carta tradizionale. Insomma, la canapa arrivò in America con le Caravelle. E chiaramente attecchì.

In Virginia, nel 1619, venne emanata la prima legge dell’America del Nord sulla canapa: obbligava tutti gli agricoltori e coltivare almeno un apprezzamento a canapa indiana. Perché? Qui serve un minimo inquadramento storico: la Gran Bretagna era costretta a comprare la canapa da Paesi rivali, soprattutto dall’Italia. Per rendersi autonoma, quindi, spinse le sue colonie a lavorare la canapa.

Per incentivare la produzione, in Connecticut e in Massachusetts venne così ordinato in tutte le famiglie di produrre canapa. La fibra grezza partiva verso l’Inghilterra, dove veniva lavorata e trasformata, per poi tornare in America sotto forma di carta, tessuti, corde, vestiti lenzuola, tovaglie, tende e olio per le lampade.

Lo scopo? Ovviamente rendere le colonie direttamente dipendenti della madrepatria e usare la forza lavoro interna dell’Inghilterra per aumentare l’occupazione. Salvo poi rivendere nelle colonie, a prezzo maggiorato, i prodotti finiti.

Che cosa è successo dunque? Dove è stato il problema che ha portato alla dannazione della canapa? Difficile capirlo dato che nel 1800 la canapa addirittura aveva validità come mezzo di pagamento legale: in vaste zone dell’America del Nord e colonia era consentito pagare le tasse in canapa.

Il primo ad intuire che la strada per l’indipendenza passava anche attraverso la camera fu Benjamin Franklin che cercò di creare una stampa coloniale libera. Per farlo doveva rompere però il cordone ombelicale che li teneva legati dall’Inghilterra. Vennero così varate leggi per cui si poteva essere condannati se non si coltivava canapa.

Oltre Franklin, altri due padri fondatori sostennero con forza la coltivazione della canapa: George Washington e Thomas Jefferson.

Jefferson, il 16 marzo 1791, quando era Sottosegretario di Stato scriveva: “la coltivazione del tabacco è dannosa, non è ragionevole. Meglio la canapa che è necessaria al commercio e alla navigazione, in altre parole, al benessere e alla protezione del Paese mentre il secondo invece non è utile, anzi è addirittura dannoso”. Fa impressione oggi pensare che la famosissima dichiarazione di indipendenza del 4 luglio 1776 fu scritta su carta di canapa di canapa.

Allora com’è possibile che una pianta così preziosa diventò vietata? Tra i tanti vantaggi, utili ancora oggi: per fabbricare la carta non è necessario abbattere gli alberi. Soprattutto la canapa richiede un terzo dell’acqua che viene utilizzata per il cotone: per ogni kg di canapa servono 2500-3500 litri d’acqua contro i circa 10 mila litri d’acqua necessari per il cotone.

“Perché consumare foreste che hanno impiegato secoli per crescere e miniere che hanno avuto bisogno di intere ere geologiche per stabilirsi, se possiamo ottenere l’equivalente dai campi di canapa?” , scriveva l’imprenditore Harry Ford. Mentre Ford puntava sulla canapa, molti altri industriali, contando sull’ eccessivo costo di lavorazione, investirono invece su legno e fibre sintetiche derivate dal petrolio.

Si creò così l’alleanza contro la canapa. Primo fu Herst, considerato il padre del giornalismo scandalistico ( a lui si ispira il capolavoro Quarto potere). Con l’arrivo del decorticatore che rese la carta di canapa meno costosa di quella prodotta dagli alberi, Herst rischiava di perdere i propri investimenti. Un altro che rischiava di perdere milioni di euro era il proprietario di una società petrolchimica che aveva appena ottenuto il brevetto per creare tessuti sintetici del petrolio. Entrambi erano finanziati da uno dei più potenti banchieri dell’epoca, Mellon, proprietario della Golf Oil, una delle Sette sorelle.

E poi contro la canapa c’era anche l’industria farmaceutica finanziata da altri due potenti banchieri, Rockefeller ed Andrew Kanergy che stavano cercando di eliminare tutte le cure naturali a base di erbe a favore delle medicine.

E così, quando da segretario del tesoro degli Stati Uniti nominò il marito di sua nipote direttore del dipartimento di Stato per le droghe egli stupefacenti il gioco fu facile. In teoria l’ufficio doveva occuparsi del traffico di alcolici invece iniziò a mettere nel mirino la cannabis, cioè la canapa industriale, che non è certamente stata selezionata per il suo contenuto di THC ma per la ricchezza della fibra, la persistenza della pianta ecc

Da qui l’idea di puntare proprio su quell’effetto psicoattivo per eliminare la pianta. Gli venne affibbiato un nome messicano, la marijuana, che fino a quel momento era sconosciuto negli Stati Uniti. Una trovata geniale. Venne ribattezzata peggio dell’ eroina e delle cocaina e introdotta la marijuana tax: quel che si fece passare come un semplice aumento della tassazione, in realtà era talmente elevato da rendere praticamente impossibile la produzione. Si bloccò cosi il mercato della canapa.

Venne infatti introdotta per legge un’imposta di consumo per i commercianti e una tassa di acquisizione per il consumatore. A seguire: la convenzione unica sugli stupefacenti, in oltre 180 Paesi (in Italia la produzione di canapa inizia a calare agli inizi del 1900), poi nel 1975 la legge Cossiga che incluse anche la cannabis: le pietre tombali. E poi ancora la legge Fini Giovanardi che cancellò la distinzione tra droghe pesanti e leggere prevedendo per i consumatori e gli spacciatori di marijuana le stesse pene previste per l’ eroina. Fu poi la Corte Costituzionale nel 2014 a riconoscere l’ incostituzionalità della legge 2006 ripristinando la distinzione tra droghe leggere e pesanti.

Fu necessario arrivare al 2016 per avere una legge per riportare in vita il settore della cannabis industriale. Entrò in Gazzetta Ufficiale il 12 dicembre 2016 per favorire gli investimenti nel settore, snellendo le procedure, aumentando i limiti di tolleranza e di THC e le produzioni agricole: in Europa il limite è dello 0,2% ma con questa nuova legge la tolleranza arriva fino allo 06. In soli due anni dalla sua approvazione la coltivazione di canapa in italia è passata cosi da 400 ettari a circa 4.000. Per molte aziende agricole in questo momento, nuovamente si riapre un mercato. Ma mancano le Infrastrutture.

Il resto lo scoprirete comprando il libro.

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